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meister eckart
di P. Gerardo Cioffari OP
Il pensiero filosofico e teologico domenicano non si esauriva dunque con la grande sintesi di Tommaso. Della grande speculazione albertina questi aveva colto prevalentemente la parte aristotelico-scolastica. Molto ridotta era stata invece la tradizione pseudionisiana alla quale invece Alberto aveva ugualmente prestato attenzione con i suoi Commentari, senza tuttavia arrivare a svilupparla compiutamente. Colui che avrebbe colmato questa lacuna sarebbe stato un conterraneo di Alberto Magno, maestro Eckhart, forse il più profondo dei pensatori medioevali. Il retaggio dionisiano da lui colto, ma elaborato in modo originalissimo, con diverse sfumature espressive fu fatto proprio anche dai suoi discepoli, il beato Enrico Susone e Giovanni Taulero, che insieme a lui formano la triade della grande mistica renana.
Nato verso il 1260 a Tambach (Turingia) ed entrato giovinetto nell’Ordine, continuò gli studi a Colonia[1]. Proseguì gli studi teologici a Parigi, ove nel 1293 come baccelliere insegnava commentando le Sentenze di Pietro Lombardo. Tornato ad Erfurt, nel 1294 fu eletto priore ed ebbe anche la carica di vicario della Provincia. Scrisse in questi anni i Trattenimenti spirituali (Die Rede der Unterscheidunge). Fu nel 1302 a Parigi che ottenne il titolo di maestro ed insegnò ivi teologia, vivendo nel convento di St. Jacques. Primo provinciale della nuova provincia di Sassonia nel 1303 (nata dal distacco della stessa da quella di Teutonia), dovette occuparsi di 47 conventi suddivisi in undici nazioni, fra cui anche l’Olanda, con centro ad Erfurt.
Nel 1307 fu eletto vicario della Boemia e nel 1310 provinciale di Teutonia. Quest’ultima carica non fu però ratificata dal capitolo generale di Napoli (30 maggio 1311), che invece lo inviò ad insegnare ancora teologia a Parigi.
Era stato questo un periodo intensissimo. Eckhart fu continuamente impegnato ad assolvere gli incarichi assegnatigli dall’Ordine. Partecipò ai capitoli generali di Tolosa (maggio 1304), Strassburgo (maggio 1307), Piacenza (giugno 1310), ai capitoli provinciali di Halberstadt (settembre 1304), Rostock (1305), Halle (1306), Minde (1307), Seehausen (1308), Norden (1309), Amburgo (1310), nonché alla fondazione di nuovi conventi (Brunswick, Dortmund, Groninga). E ciò nonostante poté dedicarsi con grande passione alla predicazione in lingua volgare.
Più che l’elezione a provinciale di Teutonia, la non accettazione del capitolo di Napoli per inviarlo nuovamente a Parigi è segno dell’eccezionale prestigio raggiunto dal maestro. Giunse nella capitale francese quando i bagliori delle fiamme del rogo di Margherita Poreto (1 giugno 1310) non si erano ancora spenti. Era questa donna l’autrice dello Specchio delle anime semplici annientate, che presenta tanti punti di contatto col pensiero di Eckhart. E nel convento di S. Jacques, col maestro c’era anche quel fra Guglielmo di Parigi, l’inquisitore che aveva fatto condannare Margherita.
Durante questo secondo periodo parigino avviò la trilogia dell’Opera tripartita (Opus propositionum, Opus questionum ed Opus expositionum), ma solo la terza parte fu poi ripresa e rielaborata, mentre le prime due restarono a livello di appunti.
Nel 1314 lasciava Parigi e tornando a Strassburgo ebbe l’incarico di responsabile delle monache della Germania meridionale, il che gli lasciò molto tempo per riprendere la predicazione in tedesco. Nel 1323 era di nuovo a Colonia ad insegnare teologia, ma nel 1326 l’arcivescovo Enrico di Virneburg, che si era poco prima occupato dei movimenti dei beghardi, gli intentò un processi di eresia.
In realtà l’iniziativa dell’arcivescovo non era un fulmine a ciel sereno. Già nel capitolo generale di Venezia (1325) erano stati ammoniti coloro che predicavano in volgare e i riferimenti, sia pure senza fare il nome, erano chiaramente rivolti a lui. Infatti, si parlava della predicazione popolare in Germania e dell’inopportunità di rendere in lingua volgare le sottigliezze e le problematiche scolastiche.
Nell’istruire il processo l’arcivescovo poté contare su due delatori domenicani, Ermanno di Summo e Guglielmo di Nidecke. Contemporaneamente era però giunta una commissione d’inchiesta inviata dal papa Giovanni XXII e capeggiata dal domenicano Nicola di Strasburgo, il quale fino a pochi mesi prima era stato assistente di Eckhart nello Studium generale di Colonia. Ne nacque uno scontro di competenze, con l’arcivescovo che continuava a trovare errori nelle opere di Eckhart, ed il domenicano che non vi trovava alcunché, e che tra l’altro contestava la competenza dell’inquisizione episcopale sui domenicani.
In due liste pervenuteci (su tre che furono redatte) si trovano 49 e 59 errori. La prima lista fa riferimento al Libro della consolazione divina, al Sermone dell’uomo nobile, all’Apologia, al Commento sulla Genesi, ai Sermoni tedeschi. Gli “errori” della seconda lista, quella di 59, sono desunti tutti dai Sermoni tedeschi.
Dopo diversi mesi Eckhart preferì appellarsi al papa e recarsi ad Avignone. Qui una commissione pontificia analizzò le diverse liste riducendo il tutto a 28 proposizioni. La formulazione però libera alquanto il maestro, in quanto il tutto è concepito come giudizio sulle proposizioni senza più rapporto con chi le ha formulate. Di Eckhart da quel momento non si hanno più notizie. Forse morì proprio ad Avignone tra la fine del 1328 e i primi del 1329, in quanto la bolla In agro dominico che condannava 17 proposizioni e dichiarava sospette le restanti 11, datata 27 marzo 1329, lo diceva già defunto.
Tra le tesi condannate la coeternità dell’anima con Dio, ed anzi la coeternità del mondo con Dio. Sul finire del 1325 gli accusatori estrassero proposizioni dal Liber Benedictus, quindi fecero una seconda lista da altre opere, e finalmente una terza dal Commento al Vangelo di Giovanni. Nella bolla di condanna su 15 proposizioni, 11 vengono giudicate equivoche, molto temerarie e sospette, anche se capaci di ricevere un senso cattolico, sia pure con molte spiegazioni ed aggiunte[2]. Nella bolla, promulgata solo nella diocesi di Colonia, si affermava anche che il Maestro era morto dopo aver confessato alla fine della vita la fede cattolica.
Le opere principali sono le seguenti:
Sermoni latini[3]
Sermoni tedeschi (Deutsche Predigte)[4]
Quaestiones Parisienses I-IV[5]
Istruzioni spirituali [6].
Sermoni sull’Ecclesiastico[7].
Commento alla Genesi[8]Commento al Vangelo di Giovanni[9]
Liber Benedictus (Libro della consolazione divina, e trattato Dell’uomo nobile)[10]
Il fondo dell’anima (Grund der Seele) e l’umiltà (Demut).
L’io è immerso in tutta una serie di cose accidentali (famiglia, ambiente, cultura, religione). Suo compito fondamentale è liberarsi di tutto l’inessenziale per puntare continuamente verso il fondo dell’anima (Grund der Seele). Tutto ciò è riconosciuto da ogni uomo onesto con sé stesso, cioè dall’uomo vero (ein wahrer Mensch). Tuttavia, per quanto tu percorra l’anima, mai ne troverai i confini.[11] E’ una ricerca che non si ferma. Sente di trovarsi continuamente di fronte ad una molteplicità, ma anche di non essere questa molteplicità, bensì di essere nel fondo qualcosa di immutabile. Questo uomo psichico è al contempo immerso nel dolore e nel male. Rinvia perciò a sempre nuovi contenuti. Un presente che rimanda continuamente al futuro. Ma il fondamento non è l’elaborazione di qualcosa bensì la rimozione (l’afairesis di dionisiana memoria) e quindi purificazione di tutto ciò che è accidentale.
Il fondo o fondamento non è inoltre l’io psicologico, un piccolo Konrad o Heinrich, ma si rivela come natura umana, anzi una natura assolutamente semplice, al punto che si avvicina al nulla (o all’essere purissimo ed indeterminato che è Dio). A questo punto anche il Grund si rivela come senza fondo (Abgrund), essere cioè privo di ogni determinazione. Non bisogna cioè ricercare l’io, ma staccarsi da ogni particolarità (che è appunto il peccato) per tuffarsi nell’universale. Per giungere a questo bisogna espellere e annullare tutto ciò che è affermazione dell’io, poiché solo così faremo emergere l’universale, il divino che è in noi.
Tale insegnamento ha le sue ripercussioni anche in campo etico. La negazione dell’io deve giungere infatti alla negazione di ogni volontà personale, di ogni intenzionalità e quindi di ogni “perché” come spinta dell’azione. L’opera buona è tale solo se compiuta in completo distacco, senza un perché. Quando c’è la mente nell’operazione, c’è anche la menzogna. E quindi ogni opera è buona solo in sé stessa, senza alcun richiamo ad eventuali meriti.
La rimozione deve riguardare ogni immagine che si presenti all’anima, ogni contenuto intellettuale. In tal senso non solo non vanno escluse le immagini e i concetti sacri, ma sono soprattutto questi (storia della salvezza, motivi della redenzione, ecc.) che vanno rimossi. La loro formulazione nell’anima è infatti riducibile ad ideologia, e non ad esperienza. La stessa idea di Dio non riflette la divinità, ma il nostro modo di concepirla, con tutte le sue limitazioni derivanti dalla natura stessa dell’immaginazione e dei concetti umani. Ogni determinazione va evitata, per raggiungere la libertà da ogni contenuto. L’uomo nobile è colui che non si arrende ad una vita di determinazioni e di limitazioni al finito, bensì fa sempre prevalere la coscienza sulla vita.
Demut.[12] L’umiltà, la nientificazione della propria volontà è alla base del raggiungimento del fondo dell’anima. Niente psichismi, niente io, ma fondo dell’anima. Ed inoltre, niente passività o rassegnazione. L’uomo nobile non cede alla determinazione ed alla necessità (e all’utilità). Con un atto di libertà egli rimuove l’ostacolo del determinismo e dell’utilitarismo ad esso collegato. Liberandosi così da ogni egoismo si realizza la giustizia, e nel binomio distacco-giustizia ci si incammina verso l’Assoluto, verso l’impersonale. Essendo poi Dio vera giustizia, l’uomo giusto è generato da Dio e quindi è Dio stesso.
Il distacco da ogni finitezza coinvolge anche la fede, che non è importante quanto ai contenuti, bensì come fiducia, e precisamente come fiducia nell’Assoluto, nella Luce divina. Il linguaggio di Eckhart a proposito della Luce è particolarmente interessante se si pensa che a Bisanzio una decina d’anni dopo si sarebbe aperta un’aspra controversia proprio sulla luce increata. Ecco come il Maestro domenicano si esprime nel frammento 39:
Talvolta ho parlato di una luce increata nell’anima, una luce che non è stata accesa arbitrariamente. Io sono solito alludere ad essa nei miei sermoni, poiché essa si riferisce all’immediatezza di Dio, senza maschere e nudo come egli è ed all’atto divino di generare. Così posso veridicamente affermare che questa luce va piuttosto identificata con Dio che non con una facoltà dell’anima, anche se è essenzialmente la stessa. (…) Perciò, dico che finché una persona può rinnegare sé stessa e allontanarsi dalle cose create, essa troverà la sua unità e benedizione in quella piccola scintilla nell’anima, che non viene toccata né dallo spazio né dal tempo[13].
Di fronte alle cose della terra l’uomo non deve avere un rapporto utilitaristico, ma di amore, per cui deve vederle ed inquadrarle tutte in Dio. L’assenza di contenuti riguarda quindi anche Dio stesso. Il Dio della nostra fede non è quello che di cui ci costruiamo delle immagini e dei concetti determinati, è un Dio intederminato, indefinito, il Nulla: Quando l’anima giunge nell’Uno e vi penetra con un totale rigetto di sé stessa, trova Dio come Nulla[14], è la Gottheit. A questo punto l’anima non si distingue più da Dio. In quanto dopo aver costantemente rimosso ogni determinazione (Gelassenheit, abbandono di sé) non resta che il Nulla. Il Nulla dell’anima quando si immerge nell’Uno non si pone più di fronte all’Uno-Dio come alterità, ma come identità.
Vi sono dunque tre aspetti o momenti della Gelassenheit, che vanno dall’espropriazione reale (primo aspetto) all’espropriazione delle immagini (secondo aspetto) per giungere non più alla rinuncia di qualcosa che si ha ma di qualcosa che si è: L’uomo che si tiene nella volontà di Dio non vuole null’altro che Dio e la volontà di Dio. Se è malato, non vuole essere in buona salute. Ogni pena gli è gioia, ogni molteplicità gli è semplicità e unità, tenendosi egli rettamente nella volontà di Dio. Anche se lo colpissero le pene dell’inferno, ne avrebbe gioia e beatitudine. Egli è vuoto, è uscito da sé stesso; e tutto ciò che deve ricevere ne deve restare vuoto. Perché il mio occhio possa vedere i colori, dev’essere vuoto di ogni colore. Quando vedo un colore, blu o bianco, la visione del mio occhio che vede il colore, in altre parole la cosa stessa che vede è identica a ciò che è visto dall’occhio. L’occhio nel quale io vedo Dio è lo stesso occhio nel quale Dio vede me. Il mio occhio e l’occhio di Dio sono un solo e medesimo occhio, una sola e medesima visione, una sola e medesima conoscenza, un solo e medesimo amore.[15]
Il distacco di cui Eckhart parla nelle opere tedesche corrisponde alla gratia delle opere latine. Soltanto che Eckhart precisa che la grazia non è qualcosa che sovrasta la natura, essendo entrambe d’origine divina. Essa trova la sua sede naturale nell’intelletto, che è il punto più alto dell’anima. Non ha quindi nulla a che fare con le potenze dell’anima, che invece sono legate all’io ed ai suoi desideri. L’esistenza stessa dell’uomo è grazia: Gratia Dei sum. Solo Dio può dire Sono colui che sono. Io, invece, sono solo in virtù della grazia di Dio.
Dalla sua altezza l’intelletto guarda verso i desideri dell’io, verso le sue determinazioni e contenuti. Esso vede tutti gli ostacoli che ingombrano il fondo, il fondamento dell’anima. E li rimuove con l’amore, perché solo l’intelletto è in grado di amare, essendo distaccato dalle cose, libero e quindi deiforme.
La generazione del Verbo.
Tale impostazione intellettualistica fa sì che Eckhart parli poco di mistica (e conseguentemente poco si abbandona a romanticismi e sentimentalismi caratteristici della mistica). Per lui non si tratta di mistica, ma di filosofia in senso proprio. L’amore c’entra in tutto questo, ma non l’amore per una cosa o persona particolare (che nasce dalla volontà, non dall’intelletto), bensì l’amore per il tutto, senza legami. L’uomo divino e deiforme non ama niente, non prova gusto in niente, non sa niente.
L’amore vero (quello universale) annulla la volontà che è solo passione e desiderio. In esso c’è l’incontro fra l’amante e l’Amato, tra l’anima e Dio. Così senza essere scossa dalle passioni, l’anima nobile viene ad essere pensosa senza tristezza, gioiosa senza dissolutezza. Il “luogo” dell’incontro fra l’anima e Dio è lo spirito. In esso non si può più parlare di conoscenza di Dio come se Dio fosse l’oggetto di una facoltà dell’anima. Conoscere è propriamente essere. Si conosce Dio solo se lo si è, o meglio se lo si genera dentro di noi.[16] Praedica Verbum, annuncia il Verbo, generalo dentro di te. Dio non dev’essere oggettivato (in tal senso è necessario liberarsi di Dio, rifiutarlo se concepito come qualcosa fuori di noi), ma deve nascere come persona dentro di noi. E noi generando il Verbo siamo il Verbo, perché tutto ciò che Dio ha detto del Verbo vale per ogni uomo buono. La generazione del Verbo nell’anima è l’azione congiunta di Dio da una parte e dell’uomo “distaccato” dall’altra. Il distacco permette all’uomo di preparare il terreno che Dio seminerà. Nel fondo dell’anima nasce allora il Verbo, che è la vera essenza dell’uomo. E l’uomo vede tutto come presente e di tutto se ne fa una ragione. Per cui anche la vista di orribili misfatti è incapace di intaccare la sua serenità divina.
La difesa
Dopo aver messo in discussione la composizione della commissione esaminatrice (che violava i privilegi dell’Ordine), Eckhart ricordava come anche Tommaso ed Alberto avevano dovuto soffrire l’accusa di eresia. Quindi specificava nel suo caso: Io posso errare, ma io non posso essere eretico, poiché il primo ha a che fare con l’intelletto, il secondo con la volontà.
Più avanti il maestro domenicano così si esprimeva: Sono stato accusato, dice Eckhart, di aver scritto che “Quelli che con semplicità credono dicono o scrivono intorno a qualcosa di increato nell’anima, come parte dell’anima, non sono da considerarsi eretici”, ed io insisto che è vero in quanto solo un ostinato attaccamento all’errore rende uno eretico. Migliaia di brave persone mentre erano in vita hanno creduto che Dio, che è puro spirito, fosse una persona corporea che governasse tutte le cose. La loro idea di una distinzione di persone all’interno della stessa essenza era completamente falsa, e così per molte altre cose[17].
L’affermazione dell’eternità del mondo in Maestro Eckhart ha una sfumatura metafisica: La creazione ed ogni attività di Dio è la stessa natura di Dio, eppure non ne consegue che se Dio ha creato il mondo dall’eternità, il mondo esiste effettivamente dall’eternità, come le persone poco formate intellettualmente credono. La creazione infatti non è una condizione eterna d’esistenza, come del resto la stessa cosa creata non è eterna[18]. Sullo stesso tema ecco un’altra formulazione del grande mistico tedesco: Sarebbe erroneo pensare ad un tempo in cui Dio se ne stava ad aspettare il momento in cui avrebbe creato il mondo, in quanto proprio mentre Dio era, e mentre generava il Figlio a lui coeterno ed a lui in tutto uguale, egli anche creava il mondo (Commento al libro della Genesi).
A proposito della generazione del Verbo in me, Eckhart nega che ciò implichi l’affermazione che l’uomo è Dio. Poiché Dio è in me, certamente Dio Padre genera il Figlio in me, ed in me il Figlio generato è lui stesso uno ed indiviso, poiché non c’è altro Figlio nella divinità, eccetto Lui, ed egli è Dio. Egli continua affermando che Dio genera il Figlio in me senza distinzione o differenziazione. Del resto anche se egli non fosse in me, sarebbe lo stesso indifferenziato da me, né diviso né separato, poiché egli è in tutte le cose ed ovunque essendo Dio. Credo che questa è vera e sana fede cristiana, e che questo significhi rendere onore a Dio e al suo unico Figlio, attraverso il quale il Padre ha ri-creato noi, e con la sua ineffabile carità ci ha adottati com figli. E quel che S. Tommaso dice (Summa, II, 108, a. 1) è in armonia con quanto detto. E’ sbagliato invece affermare che Noi siamo trasformati e convertiti in Dio, poiché nessun uomo, quantunque santo e buono, diviene Cristo stesso o Primogenito, né gli altri sono salvati attraverso di lui…né egli è immagine di Dio, ma egli è fatto ad immagine di Dio[19].
[1] Eckhart è uno dei pensatori domenicani che maggiormente ha attratto l’attenzione degli studiosi in questi ultimi anni. Segnalo i seguenti studi: Meister Eckhart, transl. By Raumond B. Blakney, New York 1941; Giuseppe Faggin, Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante, Fratelli Bocca ed., Milano 1946; Maestro Eckhart. La nascita eterna, antologia delle opere latine e tedesche a cura di G. Faggin, Firenze 1953 (2 ed. 1974); Maestro Eckhart, Il natale dell’anima, a cura di G. Faggin, Vicenza 1976; K. Ruh, Meister Eckhart. Theologe-Prediger-Mystiker, Münster 1985 (ed. It. A cura di M. Vannini, Meister Eckhart. Teologo, predicatore, mistico, Brescia 1989; Alain De Libera, La mystique rhénane, d’Albert le Grand à Maitre Eckhart, Paris, Ed. du Seuil 1994 ; Meister Eckhart, Prediche, a cura di Marco Vannini, Mondadori, Milano 1995; Meister Eckhart, La Nobiltà dello spirito, a cura di Marco Vannini, Fabbri Editori, Casale M. 1997; Meister Eckhart, L’Uomo e l’Infinito, a cura di Roberta Bellinzaghi, Gribaudi ed., Milano 1997; Alain de Libera, Eckhart, Suso, Taulero e la divinizzazione dell’uomo, Borla, Roma 1999; Meister Eckhart, I Sermoni, a cura di M. Vannini, Ed. Paoline, Milano 2002.
[2] Meister Eckhart, Prediche, a cura di Marco Vannini, Mondadori, Milano 1995, p. VIII.
[3] Editi a cura di M. Vannini, Roma 1989.
[4] Cfr. J. Quint, Meister Eckhart. Deutsche Predigten und Traktate, München 1955; Sermoni tedeschi, a cura di M. Vannini, Adelphi, Milano 1985.
[5] Cfr. M. Vannini, Meister Eckhart e il fondo dell’anima, Roma 1991.
[6] In Opere tedesche, a cura di M. Vannini, Firenze 1982.
[7] Commento all’Ecclesiastico, Edito a cura di M. Vannini, Nardini, Firenze 1990.
[8] Edito da M. Vannini, Genova 1989.
[9] Edito a cura di M. Vannini, Roma 1992.
[10] Daz buoch der götlichen troestunge, trad. It. In Opere tedesche, a cura di M. Vannini, Firenze 1982.
[11] Cfr. M. Vannini, introduzione a Meister Eckhart. Prediche, cit., pp. XII-XVII.
[12] Ivi, p. XIX.
[13] Meister Eckhart, transl. By Raumond B. Blakney, New York 1941, p. 246-247 (Fragments).
[14] Introduction, ivi, p. XXI.
[15] Cfr. Sermone 12 sul Siracide 24, 30-31: Chi mi ascolta. Citato da Alain de Libera, Eckhart, Suso e Taulero, cit., pp. 93-94.
[16] Cfr. M. Vannini, Introduzione a Meister Eckhart. Prediche, cit., pp. XXX-XXXVI.
[17] Per i testi della Difesa ho tenuto conto della traduzione inglese di Raymond B. Blakney, Meister Eckhart, New York 1941, pp. 258-305. Per la citazione in questione vedi Difesa, art. II, ivi p. 263.
[18] Ivi (Difesa III), p. 265.
[19] Ivi, Difesa IV, p. 268.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
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