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giacinto cormier
Enrico Cormier nacque l’8 dicembre 1832 ad Orléans, importante città della Francia settentrionale, e considerò sempre uno speciale favore della Provvidenza Divina l’essere nato e l’aver ricevuto il battesimo nel giorno dedicato alla Vergine Immacolata, la cui definizione dogmatica doveva avvenire quando il ventiduenne Enrico già pensava all’ideale domenicano come sua scelta di vita.
La sua infanzia fu serena, immersa nella pietà cristiana che le famiglie cattoliche del XIX secolo vivevano come base naturale dell’esistenza.
Di sua madre, Felicita Bracquemont, egli stesso disse: « La sua vita trascorse parte in campagna, parte negli affari di un umile commercio, parte nella cameretta dove morì dopo parecchi anni di malattia». Fu quindi una donna semplice, ma intelligente, accorta ed attiva, ed affrontò con coraggio l’avvenire della famiglia quando rimase vedova con i figli ancora piccoli.
Di suo padre, Francesco, scrisse : «Era tanto pio e laborioso quanto poco ambizioso. La sua passione era la musica. Copiava il canto gregoriano su un quadernetto tascabile, di cui si serviva in chiesa. Il giovedì i tre fratelli organizzavano una specie di concerto e cantavano accompagnandosi ciascuno col suo violino». Morì accidentalmente, in seguito alle ustioni riportate cadendo con una lampada accesa in mano.
La mamma affidò la sua educazione ai Fratelli della Dottrina Cristiana , presso la scuola della parrocchia di S. Paolo, dove il bambino progredì nella formazione umana e religiosa.
Quando lo zio Teofilo Cormier, prete e professore nel Seminario maggiore di Orléans, morì a trentasei anni di tisi, quasi naturalmente, Eugenio, il fratello maggiore di Enrico, volle prendere il suo posto entrando in seminario, mentre lui si accontentò di continuare a “giocare alla messa”, fino a quando, dopo aver ricevuto la prima Comunione e la Cresima, fu accolto nel Seminario minore La Chapelle: aveva tredici anni.
Si rivelò un ragazzo dolce e simpatico, dotato di una naturale propensione al canto, al disegno, alla poesia; più incline ad una certa spensieratezza che all’entusiasmo per lo studio. Ma la morte precoce del fratello seminarista, scomparso a 18 anni, indusse Enrico ad un serio ripensamento e formulò dei propositi così seri, che realizzò in quel momento un vero “distacco dal mondo”, come scriverà egli stesso vent’anni dopo. Tale “conversione” proseguì quando si iscrisse al Seminario maggiore nell’ottobre del 1851, mettendo per scritto un programma particolareggiato di vita con la decisione di custodire e salvaguardare i suoi impegni con la preghiera, «quell’orazione per la quale si dimora in una santa unione con Dio, si ascolta la sua parola, gli si parla a propria volta per domandarGli le sue grazie»: di questa intimità ininterrotta con Dio aveva sete l’animo generoso di Enrico.
Fu in questo periodo che maturò la sua decisione per una vita di più stretta imitazione di Gesù Cristo, prendendo in considerazione l’Ordine di S. Domenico, restaurato in Francia da pochi anni ad opera del P. Henri-Dominique Lacordaire. Con lui ebbe anche un incontro, nel quale la sua vocazione domenicana fu giudicata “nulla o non matura” dall’illustre predicatore di Notre-Dame! Evidentemente, la voce interiore dello Spirito indicò con chiarezza al giovane seminarista la via da seguire e quella valutazione negativa non lo disarmò. Fece privatamente i tre voti e terminò i suoi studi conseguendo il grado di baccelliere in teologia.
Quando fu ordinato sacerdote, il 17 maggio 1856, annunciò anche che sarebbe presto entrato nel noviziato della Provincia francese dei Frati Predicatori, a Flavigny, dove ricevette l’abito insieme ad altri quattro giovani, il 29 giugno seguente, prendendo il nome di fra Giacinto Maria, per mettersi sotto la protezione del santo predicatore missionario polacco e della Vergine Immacolata.
La sua vita di novizio, già sacerdote, fu pienamente centrata in Cristo, pur affrontando le tentazioni e le difficoltà del tutto normali per un neofita. Ma una grande prova doveva ostacolare il suo cammino: la salute precaria preoccupava non poco i suoi superiori e lo stesso P. Vincenzo Jandel, Maestro Generale, cercò una soluzione prospettandogli di finire il noviziato in Italia, dove avrebbe trovato un clima migliore.
La sua angoscia fu grande, quando anche sua mamma andò a trovarlo col preciso intento di portarselo via. «Gesù, cambiate il cuore di mia madre» - scrisse sul suo taccuino il 25 gennaio 1857.
Alla fine venne deciso, con un procedimento insolito per l’epoca, che egli facesse la professione non in modo perpetuo e definitivo, ma temporaneo, per due anni : ciò avvenne il 29 giugno 1857.
In seguito, il Maestro Generale ritenne opportuno condurlo con sé a Roma nell’intento di giovare alla sua salute e per avere vicino quel giovane che si rivelava ricco di doti religiose ed umane.
Gli affidò l’incarico di sotto-maestro dei novizi, dimostrando in lui il massimo della fiducia, tenuto conto che non era ancora professo solenne.
La sua salute, purtroppo, non migliorò. Venne a trovarlo sua mamma, affrontando un viaggio lungo ed insolito per lei, manifestandogli forse ancora una volta il desiderio che ritornasse ad essere semplice sacerdote nella sua città, ma ripartì convinta della vocazione religiosa del figlio, il quale lasciò detto a questo proposito:« Mia madre fece il suo sacrificio».
Allo scadere dei due anni il P. Jandel, preoccupato della situazione, ne parlò direttamente al Papa Pio IX, il quale risolse la questione dicendo: «Che abbia almeno la consolazione di morire professo!» In questa decisione di umano buon senso non era certo assente lo Spirito Santo, che doveva servirsi dell’opera di quel frate dalla salute delicata per altri…57 anni!
Fra Giacinto Maria fece la sua Professione solenne il 23 maggio 1859, nella sala capitolare di Santa Sabina, e si impegnò a cercare la propria perfezione nella manifestazione concreta della Volontà di Dio:«Osserverò la mia regola in tutti gli incarichi, in tutti i luoghi che il Signore mi assegnerà e che sono altrettanti portici della sua casa, cioè del cielo». Queste disposizioni interiori erano davvero necessarie ad un religioso come lui, che avrebbe trascorso la sua vita implicato in incarichi di governo.
Cominciò con l’essere nominato sottopriore a Santa Sabina, poi maestro dei novizi a Corbara, in Corsica, e quasi subito anche priore nella medesima comunità, dove le preoccupazioni erano molte, comprese quelle finanziarie : «Dopo la virtù, quello che manca è il denaro», ebbe a dire.
A trentatré anni, fu nominato primo provinciale della Provincia di Tolosa e Marsiglia appena restaurata. La sua mamma, felice di rivederlo nella sua terra, lo incoraggiò: «Gli altri hanno imparato, imparerai anche tu!»
Egli pose a fondamento del suo programma due basi solidissime: l’umiltà e l’unione, poi si mise al lavoro per solidificare ed ingrandire la nuova provincia. A tale opera si dedicò dal 1865 al 1891, durante i ventisei anni in cui fu ininterrottamente superiore, o come provinciale o come priore in diversi conventi; ispirò ogni sua azione alla tradizione domenicana ed attinse a piene mani dalle memorie storiche dell’Ordine, tutto riconducendo ai disegni di Dio. Mantenne sempre una profonda e filiale venerazione per il P. Jandel, di cui si considerò discepolo fedele e ne pianse la “morte preziosa”, come egli stesso la definì nella biografia che gli dedicò.
Affrontò con prudenza e coraggio le difficoltà e le persecuzioni che provenivano dalla situazione politica dell’epoca, che aveva soppresso le congregazioni religiose e permetteva saccheggi e violenze nei conventi. Si adoperò per la costruzione di chiese e conventi, ma soprattutto si affaticò per riportare allo splendore primitivo lo spirito religioso dell’autentica vita domenicana, servendosi delle visite canoniche per incoraggiare nel cammino dell’osservanza fedele e insistendo sulla pratica delle virtù basilari, tutte riconducibili alla carità. Si prodigò con amorevole attenzione anche per il ramo femminile dell’ordine, sia per le suore di clausura che per le nascenti congregazioni di vita apostolica. Per le monache furono fondati i monasteri di Saint-Maximin e di Prouille: quest’ultimo sorse sul luogo dello storico monastero fondato da S. Domenico, che era stato completamente distrutto durante la rivoluzione francese, e P. Cormier potè introdurvi nella clausura le prime nove monache.
Numerose furono in questo periodo le religiose domenicane del Terz’Ordine Regolare che egli aiutò a sorgere o a consolidarsi come congregazioni di vita attiva, seguendole passo passo nel loro sviluppo, animandole con la direzione spirituale e con la predicazione di ritiri, consigliandole in modo concreto nei dubbi e nelle incertezze: nel 1880 si occupò in modo particolare delle Domenicane di Albi.
Non esisteva ancora il nome di “famiglia domenicana”, ma P. Cormier ne viveva la realtà, unendo i vari aspetti nell’unico carisma di S. Domenico.
Nel 1891 fu eletto Maestro Generale il P. Andrea Frühwirth e prese con sé come “socio” per le province di lingua francese il P. Cormier, il quale giunse a Roma il 1° ottobre. L’incarico di assistente è fatto soprattutto di lavoro nascosto, spesso ingrato, che richiede oculatezza per gli affari dell’Ordine e spirito di abnegazione. L’ex provinciale di Tolosa, ormai sessantenne, aveva le doti necessarie per espletarlo con competenza e la fede robusta per esercitare anche nelle riunioni ecclesiastiche, secondo un suo scritto, «ogni sorta di virtù: preghiera, umiltà, saggezza, fiducia, semplicità, sincerità…».
Anche a Roma continuò il suo apostolato presso le comunità religiose e proprio nel 1892 fu per la prima volta presente in occasione di vestizioni e professioni nella nostra Cappella di Casa Madre, in via degli Artisti, presenza che si ripeterà per ben diciotto volte, comprendendo pure la celebrazione di alcune solennità, fino a due anni prima della sua morte.
Nel 1896 venne nominato Procuratore Generale dell’Ordine, perciò incaricato di mantenere i rapporti con le Congregazioni della S. Sede e con il Papa stesso. Come prevedeva la consuetudine del tempo, dovette scegliere uno stemma ed un motto. Allo scudo dell’Ordine, bianco e nero, aggiunse il pellicano che nutre i suoi piccoli, immagine di Cristo, ed il suo motto fu:”Caritas veritatis”, che egli stesso commentò così: “Donare la verità è la più bella carità”. Ebbe molte preoccupazioni in quegli anni a causa delle ostilità del governo francese che voleva separazione netta tra Stato e Chiesa e ostacolava le congregazioni religiose con leggi contrarie.
Il 21 maggio 1904 il Capitolo Generale tenutosi nel convento di S. Maria della Quercia (Viterbo) lo elesse 76° successore di S. Domenico, contrariamente ad ogni previsione umana, data la sua salute sempre precaria e l’età avanzata. Dio voleva attuare i suoi disegni proprio servendosi di uno strumento fisicamente inadatto, ma ricco dell’ energia spirituale che deriva dall’umiltà e dalla fiducia in Lui. Il suo generalato si svolse in un periodo molto difficile per la Chiesa cattolica, segnata dalla crisi modernista, dalla rottura dei rapporti col governo francese e dalle gravi tensioni che portarono l’Europa allo scoppio della prima guerra mondiale. Fu anche grazie alla sua saggezza e alla stima che di lui ebbero i Papi Leone XIII, Pio X e Benedetto XV se l’Ordine domenicano superò coraggiosamente questo grave momento storico.
Egli portò a termine il suo mandato di dodici anni, adempiendo i suoi doveri con regolarità: presiedette i capitoli generali stabiliti dalle Costituzioni, effettuò le visite canoniche, regolò gli affari dell’Ordine, continuò ad occuparsi delle congregazioni femminili che si rivolgevano a lui…
Ma si dedicò anche ad opere di notevole impulso per la vita dell’Ordine: fondò il Pontificio Collegio Angelico, oggi Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino, comunemente chiamata l’Angelicum, sorvegliandone egli stesso la costruzione e cercando i fondi necessari; si occupò dell’Università di Friburgo, dove la Facoltà Teologica, affidata ai Domenicani, attraversava momenti difficili; protesse e sostenne col prestigio della sua insospettabile ortodossia la Scuola Biblica di Gerusalemme, che rischiava una condanna da parte della Chiesa; si adoperò molto perché l’Università domenicana di Manila, dopo l’avvento del governo americano nelle Filippine, che fece costruire una Università laica, mantenesse intatto il suo prestigio.
Nel Capitolo tenutosi a Friburgo, il 3 agosto 1916 fu eletto suo successore l’olandese P. Theissling.
Tornato a Roma, l’ottantaquattrenne P. Giacinto Maria si stabilì nel convento di S. Clemente, dove secondo lui era trattato in modo così confortevole, che sembrava gli si volesse « impedire di morire». Ma alla fine di novembre sopraggiunse una pleurite, alla quale il suo fisico non fu più in grado di reagire. Il 16 dicembre chiese che la comunità si radunasse intorno a lui per cantargli la Salve Regina, secondo la consuetudine domenicana. Disse con voce chiara:«Rinnovo i tre voti della mia professione e ringrazio Dio di avermi concesso di perseverare nella vita religiosa». Si spense il giorno dopo, mentre nella Chiesa della Minerva l’Ordine domenicano celebrava il settimo centenario della sua approvazione, alla cui commemorazione aveva contribuito con la sua ultima lettera ufficiale come Maestro dell’Ordine.
Stimato ed amato da superiori e confratelli, P. Cormier morì lasciando in chi lo aveva avvicinato fama di santità: non una santità spettacolare, miracolistica, inimitabile, ma una santità del dovere quotidiano compiuto con amore e fedeltà , giorno per giorno, nell’eroicità di una vita silenziosa, attenta a non perdere le occasioni per i piccoli atti di virtù, pronta a donarsi per il bene degli altri con generosità, senza fuggire davanti alla croce e alle spine degli incarichi. Due caratteristiche, in particolare, vennero sottolineate da quanti lo conobbero: «Non aveva mai una parola cattiva o amara per nessuno» e «Non parlava mai di sé». Fu uomo di pace e di unità, perché profondamente umile, e seppe intervenire in ogni circostanza col dono della prudenza soprannaturale, tacendo o parlando nel modo giusto al momento opportuno, nella ricerca sincera e continua della Volontà di Dio su di sé e sugli altri.
Fu beatificato da papa Giovanni Paolo II il 20 novembre 1994 ed il suo corpo riposa nella Chiesa dei Santi Domenico e Sisto, presso la quale si è trasferito l’Angelicum nel 1931.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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