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piergiorgio frassati
Nato a Torino il 6 aprile 1901, Pier Giorgio Frassati dedicò la sua vita agli studi, alla pietà, alle attività apostoliche e sociali, sportive e di carità: luminoso esempio, per la gioventù, d'un cristianesimo autentico vissuto nel mondo.
A 18 anni quand'era studente universitario alla facoltà d'ingegneria, iniziò i contatti con l'Ordine di S. Domenico, ne studiò il carisma e all'età di 21 anni, il 28 maggio 1922, entrò a far parte del Laicato Domenicano, alla presenza del Padre Martino Stanislao Gillet, divenuto poi Maestro dell'Ordine. L'anno successivo emise la professione col nome di fra Girolamo, per stima e imitazione del grande Savonarola, che egli amava leggere unitamente a S. Caterina da Siena e a S. Tommaso d'Aquino. Morì il 4 luglio 1925 colpito da poliomielite fulminante.
Giovanni Paolo II lo definì «l'uomo delle Beatitudini» e lo dichiarò beato il 20 maggio 1990. La stia salma si trova nella cattedrale di Torino.
Non si può terminare il 2001, anno in cui ricorre il centenario della sua nascita, senza rievocare la figura di Pier Giorgio Frassati, il giovane laico domenicano, “studente bello e vigoroso, dotato di virile bontà”, secondo l’espressione usata dal futuro Papa Paolo VI ad un congresso di Universitari cattolici, il quale vivendo esternamente nella normalità quotidiana più assoluta, svelò al momento della morte il modo straordinario con cui aveva vissuto da cristiano, e quindi da santo.
Giovanni Paolo II, in un discorso tenuto a Torino nel santuario della Consolata, frequentemente visitato da Pier Giorgio che amava teneramente la Madonna, ne presentò il profilo umano e spirituale in questi termini: “Egli ci mostra che cosa veramente significhi, per un giovane laico, dare una risposta concreta al “Vieni e seguimi”. Basta dare uno sguardo sia pure rapido alla sua vita, consumatasi nell’arco di appena ventiquattro anni, per capire quale fu la risposta che Pier Giorgio seppe dare a Gesù Cristo: fu quella di un giovane moderno, aperto ai problemi della cultura, dello sport (tremendo alpinista, bravo nuotatore e vogatore, amante delle corse in bicicletta e delle passeggiate a cavallo), alle questioni sociali, ai valori veri della vita, ed insieme di un uomo profondamente credente, nutrito del messaggio evangelico, solidissimo nel carattere coerente, appassionato nel servire i fratelli e consumato in un ardore di carità che lo portava ad avvicinare, secondo un ordine di precedenza assoluta, i poveri ed i malati”.
Egli fu per posizione sociale un ragazzo ricco e borghese, ma all’opposto del giovane ricco che non ebbe il coraggio di accettare la proposta di Gesù, si meritò l’appellativo di “apostolo dei poveri”, perché visse la sua vocazione cristiana con letizia e fierezza, concependo la sua fede “come una divisa che si indossa in faccia al mondo” e amando Dio e il prossimo senza tentennamenti e senza incoerenze, prodigandosi con carità fattiva per chi era nel bisogno.
Pier Giorgio nacque il 6 aprile 1901 a Torino in una famiglia dell’alta borghesia: il padre Alfredo fu il fondatore e il direttore del giornale “La stampa”, libero pensatore agnostico, senatore del regno e ambasciatore d’Italia a Berlino fino all’avvento del fascismo; la madre, Adelaide Ametis, era ottima pittrice e donna di religiosità piuttosto formale .
I criteri educativi usati per il figlio e la sorellina Luciana furono severi, secondo l’usanza del tempo, ma questo non impedì il tenero affetto reciproco. Pier Giorgio crebbe bello e robusto nel fisico, manifestando un’anima semplice, schietta in ogni sua espressione, entusiasta per le bellezze della natura, piena di bontà per tutte le creature e di pietà per chi era nel dolore:era sempre pronto a dare tutto ciò che possedeva ai bisognosi e ad intercedere l’aiuto di mamma o di papà, se le sue tasche di bambino erano vuote.
Era adolescente quando scoppiò la prima guerra mondiale e diversi episodi di quegli anni dimostrano la sua partecipazione alle sofferenze dei soldati e il suo desiderio che finisse presto quella tragedia, come quando disse alla cameriera:-Natalia, non darebbe lei la vita per far cessare la guerra?- o quando diede alla cuoca che preparava un pacco per un soldato al fronte le sei lire d’argento che possedeva in quel momento.
Il suo temperamento non era privo di difetti: impulsivo, caparbio, poco amante dell’ordine, impetuoso nelle sue manifestazioni, nella sua prima infanzia ebbe i suoi momenti di irritabilità, i suoi litigi con la sorella o con i compagni di gioco , le sue piccole ribellioni. Tuttavia, accettava senza giustificarsi i rimproveri ed i castighi della mamma ed obbediva ad ogni suo ordine, perché la parola di lei era la verità che si accetta senza discutere.
Nello studio doveva impegnarsi a fondo per riuscire, ma non accampava scuse quando i risultati erano negativi, diceva semplicemente:-Non ho saputo. Ho sbagliato.-
A 12 anni, nel passaggio dalla seconda alla terza ginnasiale, fu bocciato e se ne rammaricò soprattutto per il dolore causato ai suoi genitori, proponendo subito con sincerità di fare il possibile per rimediare. Proprio quella bocciatura doveva essere provvidenziale per la sua vita: infatti Pier Giorgio fu tolto dalla scuola pubblica e fu iscritto all’Istituto Sociale dei Padri Gesuiti, dove trovò un vero trampolino di lancio per la sua ascesa spirituale.
Seguendo l’invito del direttore spirituale, P. Lombardi, il ragazzo iniziò ad accostarsi quotidianamente alla S. Eucaristia e sotto l’azione potente della Grazia divina che illuminava e fortificava il suo cuore, si formò poco alla volta il suo carattere di cristiano pio, operoso, convinto, forte, che divenne un esempio trascinatore per tutti. Bisogna ricordare che all’epoca, per ricevere la S. Comunione, occorreva essere digiuni dalla mezzanotte e ciò comportò molto spesso per Pier Giorgio dei grandi sacrifici, però mai cedette all’invito di chi gli diceva che “per una volta” poteva rinunciare. Gesù Eucaristico era il suo “sole”: sorgente e meta della sua fede e del suo amore, lì convergevano e da lì si irradiavano i suoi desideri e le sue azioni, senza di Lui non poteva vivere!
Nessun rispetto umano lo tratteneva nelle sue pratiche religiose; la sua pietà era spontanea, connaturale. Esprimeva la sua fede con convinzione ovunque si trovasse; faceva il segno della Croce in modo ampio e convinto, salutando il suo Dio quando passava davanti alle chiese. Se era a piedi quasi sempre entrava per una visita; quando era in campagna, a Pollone (Biella), e passava a cavallo, fermava il suo Parsifal e dopo il largo segno di Croce, chinava il capo sulla sua criniera.
Per nessuna ragione avrebbe tralasciato la S. Messa alla domenica: ben lo sapevano i suoi amici, compagni di tante escursioni in montagna, i quali erano spesso costretti a delle “levatacce” per partecipare alla S. Messa alle 4,30 del mattino, se non era possibile in giornata soddisfare al precetto festivo. Inoltre, quando gliene capitava l’occasione, era ben felice di servire il sacerdote celebrante, con una devozione che era di esempio a tutti.
Racconta un sacerdote: “Com’era bello vederlo entrare con i suoi compagni nelle prime ore della domenica in chiesa, scarpe ferrate, bastoncini da sci o piccozza in mano, sacco in spalla. Si dirigeva con passo rumoroso alla sacrestia, deponeva il bagaglio e serviva all’altare con mirabile compostezza e pietà vivissima: le sue risposte chiare e forti denotavano la sua partecipazione attenta e consapevole. In gita, poi, sarebbe stato il più allegro e chiassoso, ma sempre pieno di vigile premura verso chi poteva trovarsi in difficoltà”. Infatti scherzi, battute spiritose, agguati burleschi, risate rumorose e baccano vero e proprio accompagnavano spesso la presenza di Pier Giorgio, tanto che, durante un ritiro spirituale a cui partecipò, fu confinato nel …reparto agitati!
Ma la sua voce risuonava tonante anche quando si trattava di guidare la preghiera del S. Rosario, che divenne per lui ancor più dolce e sacra quando entrò a far parte dell’Ordine domenicano come terziario e mai ne tralasciò la recita quotidiana. Nel suo giardino di Pollone coltivava i fiori che spesso portava lui stesso al santuario di Oropa per ornare l’altare della Vergine Maria, ma coltivava anche con cura speciale una certa pianta i cui frutti egli usava come grani per fare corone del rosario da regalare agli amici. Un’amica universitaria, subito dopo la sua morte, parlando di una notte d’inverno passata in treno, scriveva: “…Quando Pier Giorgio rientra nello scompartimento, tutti protestano per il gran fracasso. Allora si mette quieto al suo posto – che era vicino a me – ed io mi accorgo che dice la corona, la sua corona grigia, il ricordo che rimane a noi tutti di lui…” Quante volte la mamma si lamentò col salesiano Don Antonio Cojazzi, che aveva dato lezioni di latino ai suoi figli ed era sempre rimasto in rapporti confidenziali con la famiglia, di trovare il più delle sere Pier Giorgio inginocchiato vicino al letto con la corona in mano, addormentato per la stanchezza!
Osservatore scrupoloso dei precetti della Chiesa, mai trascurò di praticare i digiuni e le astinenze comandate, sia per spirito di obbedienza, sia come mezzi di rafforzamento della volontà: sapeva con abili espedienti o con risposte evasive allontanare da sé l’attenzione di chi si trovava insieme a lui.
Partecipava volentieri alle manifestazioni religiose, specialmente alle processioni eucaristiche e a quelle in onore della Madonna Consolata e di Maria Ausiliatrice, dove era da tutti notato per il suo contegno e per la fede che dimostrava.
Aveva un particolare affetto per le adorazioni notturne e si iscrisse con slancio all’associazione dei “giovani adoratori notturni”. Scrive un amico: “Nel sottochiesa di S. Maria in Piazza si rinnovava agli inizi del XX secolo lo spettacolo della fede delle catacombe. Ogni secondo sabato del mese Pier Giorgio era al suo posto di guardia d’onore, cavaliere del SS. Sacramento. Il suo vocione dominava… il suo raccoglimento e il suo slancio edificavano.
Egli, forte e fiero, restava prostrato per lunghe ore; egli, esuberante e clamoroso, restava assorto in contemplazione silenziosa, con il suo spirito totalmente attratto da Dio”. Solitamente le adorazioni terminavano alle due, ma in occasioni speciali Pier Giorgio passò anche la notte intera in adorazione, lasciando, poi, la chiesa col cuore traboccante di gioia per il contatto prolungato con Gesù Eucaristico.
Torniamo ora alla cronologia della sua vita: dopo aver terminato gli studi liceali, si iscrisse nell’anno scolastico 1918-1919 al Politecnico di Torino, scegliendo la facoltà di Ingegneria Mineraria, col preciso scopo di poter giovare un giorno a quei lavoratori che operavano nelle condizioni più dure e disagiate nell’interno delle miniere. Mancavano ancora due esami e la tesi a concludere quel corso di studi, quando la poliomielite fulminante gli troncò la vita terrena in pochi giorni. Oggi, però, Pier Giorgio è … beato ed ingegnere, perché il 6 aprile scorso ( giorno in cui avrebbe compiuto cent’anni) il Politecnico di Torino gli ha conferito la laurea in ingegneria mineraria “post mortem”! La motivazione per tale laurea alla memoria fa riferimento al fatto che per lui quello studio era il coronamento di un progetto di vita – come ha ricordato la novantanovenne sorella Luciana - per un impegno professionale e sociale a servizio del prossimo più sfruttato ai suoi tempi.
Al servizio del prossimo più povero, intanto, egli si era subito dedicato entrando a far parte della Conferenza di S. Vincenzo dai tempi del liceo. Era un socio assiduo, generoso, che pagava di tasca propria fino a rimanere spesse volte senza i soldi per il biglietto del tram, pur di soccorrere un bisognoso. Sapeva trovare le vie del cuore per sovvenire gli infelici, entrando nelle loro povere abitazioni con modi semplici e cordiali, sempre rispettando la dignità delle persone. La sua umiltà sincera faceva sì che mai mettesse in imbarazzo chi era di condizione sociale inferiore e che si prestasse per qualsiasi servizio, fosse pure il sostituire il sacrestano per la raccolta delle offerte o il portare sulle spalle la valigia stracolma della cameriera.
Soccorreva abitualmente anche tutti i poveri che bussavano alla porta di casa o chiunque gli manifestasse un bisogno, anche se alcune volte costatò di essere stato ingannato. Chiedeva di volta in volta il denaro ai suoi genitori, perché non godeva, come si userebbe forse al giorno d’oggi, di un “assegno mensile”. Quando per i viaggi o per altre occasioni riceveva somme rilevanti, per sé consumava il minimo indispensabile, fino a saltare i pasti, trovando sempre il modo di aiutare qualcuno. Aveva imparato alla scuola di S. Paolo, di cui prediligeva l’inno alla carità, come si traduce in opere l’amore, perché sapeva che visitando un povero, in verità si visita Gesù! E lui, così chiassoso con gli amici, sapeva agire con tanta discrezione che il bene da lui compiuto rimase ignorato dai più fino al momento della morte. L’ultimo suo sforzo per vincere la paralisi che lo bloccava a causa dell’infezione poliomielitica, fu ancora un atto di carità: scrisse su un foglietto il nome di un povero perché il confratello della San Vincenzo gli portasse il soccorso promesso.
Tralasciando altri fatti importanti della sua vita, come la sua militanza nelle associazioni giovanili cattoliche, con la partecipazione ai diversi congressi da esse organizzate, ed il suo impegno politico, parliamo ora della sua adesione entusiasta al Terz’Ordine Domenicano.
Dopo essere venuto a contatto con il Padre domenicano Filippo Robotti che andava a tenere conferenze nel Circolo Universitario da lui frequentato, Pier Giorgio gli andò a far visita nel Convento di S. Domenico e conobbe l’esistenza delle fraternità laiche domenicane; inoltre allacciò relazioni con altri padri e potè cogliere la spiritualità che li animava.
Chiese di leggere la Regola del Terz’ordine e ponderò la sua decisione per più di un anno; quando capì che l’ideale di apostolato religioso che gli ferveva in cuore era in armonia con gli scopi che si proponeva un laico domenicano, chiese spontaneamente di entrare a farvi parte.
Fece la vestizione nel 1922, in occasione della chiusura del VII centenario della morte di S. Domenico, ed emise la professione l’anno dopo. Con lo scapolare ricevette anche un nome nuovo, da lui stesso richiesto: fra Gerolamo, il nome del Savonarola, il frate ferrarese che egli ammirava per l’ardire col quale aveva denunciato l’immoralità dilagante nelle classi sociali più alte della Firenze del 1400, per l’austerità di vita e la “passione” per la salute delle anime, per l’idea di una riforma democratica che instaurasse il regno di Cristo, secondo la dichiarazione scritta sulle mura di Palazzo Vecchio: “Gesù Cristo, Re dei fiorentini, per decreto di popolo”.
Scrive un padre domenicano che lo conobbe: “Pier Giorgio pensava, pregava, sperava da frate. Conosceva perfettamente la Regola, era assiduo all’adunanza mensile, recitava quotidianamente sia il S. Rosario che l’Ufficio della Madonna, orgoglioso di portarlo sempre nel taschino e felice se incontrava un confratello col quale recitarlo a cori alterni. Invitò molti amici a entrare nell’Ordine e parecchi seguirono il suo esempio”.
In tempi e modi ovviamente diversi, egli imitò fedelmente S. Domenico nell’amore alla Verità, nello zelo per la predicazione, nella preghiera continua del cuore. Era innamorato di S. Caterina: del Dialogo e delle Lettere. Aveva pieni il cuore, la mente , la volontà delle visioni della santa. Non a caso, quindi, regalò alla sorella per il conseguimento della laurea in legge, il 15 luglio 1923, la Vita di S. Caterina da Siena dello Joergensen perché le fosse “guida nella via dell’ascesa verso la perfezione spirituale”. Lo stesso libro costituiva la sua lettura preferita nei giorni della sua “settimana di passione”, quando il male già lo torturava, ma nessuno lo aveva riconosciuto. Recatosi da un amico, con grande fatica per salire le scale, dopo una breve conversazione disse: “ Ho con me Santa Caterina” e cavando di tasca l’unico libro che in quei giorni lo consolasse, gli lesse il passo in cui la santa parla del suo modo di recitare i salmi dell’Ufficio divino quando le appariva Gesù e si alternava con lei nella recita.
Concluse dicendo: “ Che fortuna ebbe S. Caterina di vedere Gesù su questa terra!” Tacque un attimo, poi riprese: “Io la invidio”. A quale unione con Dio era giunta l’anima di questo atletico giovanotto ventiquattrenne, per uscire in una simile esclamazione?
Santa Caterina sicuramente gli stette vicina, adottandolo come figlio nella sua lieta brigata, durante le ultime ore di vita, quando seppe con certezza, non solo dai dolori e dalla paralisi fisica che lo attanagliava, ma anche dall’angoscia che lesse sul volto dei suoi cari, che era giunto per lui il momento dell’incontro con Dio.
Al sacerdote che gli portava il S. Viatico disse la sua gioia di andare in Paradiso, ma anche la sua preoccupazione per papà e mamma che restavano soli, essendosi la sorella sposata nel gennaio di quell’anno. Egli aveva amato molto i suoi genitori, aveva sofferto per i momenti di incomprensione che c’erano stati tra i due coniugi, aveva sacrificato il nascere di un affetto per una compagna per non creare disunione in famiglia. Il sacerdote lo rassicurò: “Continuerai ad amarli dal cielo!”
Pier Giorgio si spense la sera del 4 luglio 1925 e il suo funerale fu un trionfo, perché vennero a rendergli omaggio quanti da lui avevano ricevuto conforto, amicizia, incoraggiamento ed aiuto materiale: si scoprì che un’intera città lo aveva conosciuto ed amato!
Fu sepolto nel cimitero di Pollone, ma dal 30 giugno 1990 la sua salma riposa nel Duomo di Torino, dopo che il 20 maggio dello stesso anno Giovanni Paolo II lo aveva proclamato beato, offrendo a migliaia di giovani un volto di santo “moderno” in cui specchiarsi.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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