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giacomo da varazze
Jacopo da Varagine: questo è il nome col quale si è sempre firmato e col quale è passato alla storia come autore di opere letterarie a carattere religioso o storico, come religioso tutto dedito all’ideale evangelico secondo lo spirito della Famiglia religiosa appena fondata da San Domenico ed infine come Arcivescovo di Genova. Varazze deve a questo suo illustre e santo cittadino una gloria che non conosce ombre da sette secoli; infatti, è di pochi mesi fa una nuova edizione di stampa del suo libro più famoso: la «Legenda Aurea».
Contemporaneo di San Tommaso d’Aquino, egli visse le sue stesse tensioni storiche in un’Italia lacerata da guerre fratricide ed attinse alla fresca sorgente della primitiva generazione domenicana; come lui operò in umiltà e sapienza, ma spese i suoi talenti in un diverso campo di apostolato, adoperandosi nel ministero della predicazione al popolo, servendo i confratelli come priore e provinciale, compiendo con accortezza ed instancabilità opera di pacificazione nelle discordie civili, pascendo come pastore vigile e buono il gregge affidatogli negli ultimi anni di sua vita.
Giacomo nacque nella ridente cittadina della costa ligure, a ponente di Genova, intorno al 1228.
Mare e montagna in quella località si danno la mano ed entrambi offrirono alla sua infanzia occasioni preziose di suggestive contemplazioni, come pure esempi di tenace laboriosità nella gente che da essa doveva trarre il sostentamento quotidiano. Ci fu, infatti, un avvenimento di quel periodo che più tardi il Beato ricorderà nei suoi scritti, annotando: «L’anno del Signore 1239 ebbe luogo un’eclisse di sole sì grande e completa che le stelle apparvero in pieno giorno come abitualmente appaiono la notte quando pura è l’aria. Noi bambini osservavamo attentamente quelle stelle che apparivano brillanti nel cielo». Uno spettacolo della natura raro ed arcano suscitò, dunque, un’impressione indelebile nel suo animo, anticipando quelle profonde investigazioni che la sua mente farà nei misteri di Dio e dello Spirito.
Nessun particolare egli ci tramandò sulla sua famiglia, né su come trascorse la vita prima di bussare, verso i sedici anni, al convento di
San Domenico di Genova; soltanto precisò che la sua vocazione era nata «dall’ispirazione del Signore Gesù». I biografi accennano ad una singolare circostanza che può avere influito sulla sua formazione alla pietà e al senso religioso. Raccontano che esisteva a quei tempi un umile e ridottissimo santuario in cui si venerava un’antica e miracolosa effigie della Vergine, il quale era diventato un centro di culto e di venerazione popolare. Era custodito da un monaco eremita e perciò la Madonna era chiamata «Santa Maria degli eremitani». Questa effigie è venerata ancora oggi perché il convento domenicano, costruito a Varazze nel 1433, incorporò l’edicola che custodiva l’affresco della Vergine col Bambino e nell’attuale chiesa di San Domenico la «Madonna degli eremiti» si trova in una cappella laterale.
Davanti a questo dipinto può, quindi, aver sostato in preghiera l’adolescente Giacomo, chiedendo luce e protezione per il suo avvenire. Quando Santa Caterina da Siena , di ritorno da Avignone, si fermò a Varazze, lo fece col preciso intento di visitare sia la «Madonna degli eremiti», sia la patria nativa del suo grande confratello Jacopo, già riconosciuto beato dalla devozione popolare e da lei grandemente venerato.
Giacomo entrò a Genova nel convento fondato dai Frati Predicatori il
7 luglio 1244, lo stesso giorno in cui Papa Innocenzo IV, il genovese Sini-
baldo Fieschi, veniva accolto festosamente nella sua città dove cercava rifu-
gio credendo la sua vita in pericolo a causa della lotta contro l’Imperatore Federico II.
Gli storici affermano che fu San Domenico stesso ad introdurre nella potente Repubblica Marinara i suoi religiosi durante uno dei suoi viaggi dalla Spagna, attraverso la Francia meridionale, verso Roma. Quando vi entrò Giacomo il convento era ancora in costruzione, ma non mancava di uomini dotti e di maestri nelle sacre dottrine, per cui gli austeri studi lo aiutarono nella formazione intellettuale e spirituale che fu favorita dal suo carattere volitivo e assetato di sapere.
A ventiquattro anni gli venne affidata la cattedra di teologia e, da allora, in Genova fu chiamato «Jacopo il Teologo». A giudizio degli storici egli «parlava la sua lingua materna con tanta eleganza e purezza che gli uditori non si stancavano di ascoltarlo».
Proprio in quegli anni fra Pietro da Verona raccoglieva la palma del martirio per mano degli eretici: la giovane Famiglia dei Frati Predicatori donava alla Chiesa una testimonianza che brillava di luce inconfondibile e
fra’ Giacomo ne ricorderà con commozione l’eroico sacrificio e le virtù praticate, scrivendo: «La fede lo dirigeva, la speranza lo fortificava, la carità lo accompagnava. La sua devozione era amabile, la sua bontà tenera, la sua umiltà dolce, la sua obbedienza calma, la sua pietà compassionevole, la sua carità attiva, la sua bontà incrollabile».
Fra Giacomo fu chiamato ben presto al servizio dei propri confratelli come Priore del convento di Genova e poi, dal 1266, come Provinciale di Lombardia, che era allora la provincia più fiorente di tutto l’Ordine contando quasi un migliaio di frati.
La sua opera fu tanto benefica e si fece amare da tutti a tal punto che, per un permesso speciale del Papa e del Maestro Generale, per ben cinque volte la fiducia e la stima dei frati gli conferirono l’onere di governare la provincia. In quei tempi di rigorosa osservanza, chi esercitava l’autorità doveva imporsi soprattutto col vivo esempio della propria vita autenticamente evangelica, povera, mendicante, contemplativa e totalmente dedita alla salvezza delle anime. La santità di vita e la dottrina rigorosa, unite ad un temperamento equilibrato, affabile, fermo, furono indubbiamente gli elementi caratteristici della sua personalità che maggiormente risaltarono nelle sue funzioni di governo.
Nonostante i gravosi impegni come provinciale, fra Giacomo fu un gigante nel campo della cultura della sua epoca: dal mondo classico antico della filosofia e della letteratura greca e romana traeva linfa continua per le sue esposizioni ed affrontava con acume ed equilibrio i problemi più interessanti ed anche più scottanti del suo tempo. Gli era familiare il pensiero dei teologi, dei filosofi cristiani, dei Padri della Chiesa; citava senza difficoltà le più celebri sentenze di Sant’Agostino. Era in questo aiutato da una memoria quasi prodigiosa, perché riteneva con facilità quanto leggeva. Particolarmente benemerita fu la sua opera nello studio biblico: secondo molti storici egli fu il primo a tradurre la Bibbia in lingua volgare, lavoro audace e quasi temerario in quegli anni in cui pareva che i dotti italiani temessero di profanare le lettere usando l’idioma materno: Dante Alighieri era forse appena nato!
Quale figlio di San Domenico, da vero predicatore evangelico, egli passava dal pulpito alla cattedra con semplice disinvoltura, adattandosi all’udi-torio con perfetta sintonia, sia nelle discussioni accademiche che nelle istruzioni catechetiche popolari, e rivelandosi autentico maestro nell’oratoria sacra.
Portò in varie città italiane il dono della Parola di Dio e spezzò questo pane indispensabile alle anime traendo dalla Sacra Scrittura e dall’esempio dei Santi le applicazioni morali necessarie alla riforma dei costumi. Di ciò è splendida testimonianza la sua opera più famosa: la «Legenda Aurea».
Scritta negli anni giovanili, essa narra la vita di circa centocinquanta Santi, intrecciata con la presentazione delle principali feste del Signore e della Vergine secondo lo scorrere dell’anno liturgico. Manuale attraente di meditazione e di lettura spirituale, scrigno prezioso per i predicatori, fonte inesauribile d’ispirazione per gli artisti dei secoli XIV e XV che tradussero in opere pittoriche di gran valore gli episodi da lui raccontati, la «Legenda Aurea» ebbe una diffusione immensa ed esercitò per secoli un benefico influsso. Trascritta nel suo facile volgare latino in centinaia di copie, si sparse per tutta l’Europa e, con l’invenzione della stampa, ebbe nel giro di un trentennio più di cento edizioni.
Col passare degli anni la personalità di Giacomo da Varazze non poté rimanere nascosta agli occhi della Chiesa e il Papa Martino IV nel 1281 ricorse a lui per una delicata missione presso il re di Aragona. Anni dopo, fu incaricato dalla Repubblica Genovese di ottenere l’assoluzione dall’interdetto con cui era stata colpita la città e la sua mediazione riportò giorni di serenità nella desolata popolazione. Un altro episodio di quel periodo rivela la sua rettitudine e la sua fortezza d’animo: difese con dignità e fermezza davanti al Papa Nicolò IV e ai messi pontifici l’innocenza del Maestro Generale Munio de Zamora ingiustamente calunniato.
Quando pensava di poter trascorrere gli ultimi suoi anni nella pace del chiostro, libero da responsabilità onerose, gli fu affidato il governo dell’Arcidiocesi di Genova, su richiesta degli stessi cittadini.
Consacrato Vescovo a Roma il 13 aprile 1292, «egli si diresse con gioia verso la sua città e fu con riverenza accolto dal popolo»: così si espresse lo stesso fra Giacomo parlando di se stesso in terza persona. Subito si preoccupò della riforma del clero, senza la quale non era possibile ottenere la santificazione dei fedeli, e per questo convocò nel 1293 un Sinodo Provinciale delle cui ordinazioni, dicono gli annali domenicani, molti Vescovi stranieri vollero averne copia per metterle in vigore nelle proprie diocesi.
Nei sei anni del suo episcopato lo zelante pastore non cessò mai di intervenire per disarmare e riconciliare le diverse fazioni cittadine continuamente in lotta tra di loro e per calmare le aspre contese che sorgevano tra Genova e Venezia per il dominio sui mari. Contemporaneamente rivolse le sue amorevoli cure alle vittime di queste disastrose guerriglie: bambini orfani, vedove senza mezzi di sostentamento, famiglie rimaste senza un tetto, malati e feriti. Per soccorrere i poveri non esitò a vendere le ricche suppellettili e i preziosi mobili che il suo predecessore aveva raccolto nel palazzo vescovile e, col permesso del Papa, alienò anche due castelli coi rispettivi territori che assi-curavano la rendita per la mensa vescovile. Quando ebbe esaurito le sue risorse, sensibilizzò le famiglie benestanti perché aiutassero i fratelli colpiti dalla sventura.
La cura pastorale del suo gregge ed i suoi continui interventi come pacificatore, non gli tolsero però la passione per gli studi. Risale a questo periodo la sua opera di carattere storico, intitolata: «Cronaca della città di Genova dalle origini all’anno 1297» che gli costò anni di pazienti ricerche e di duro lavoro. In essa descrive i principali avvenimenti della storia civile e religiosa di Genova con l’intento di richiamare il suo popolo ai doveri umani e cristiani rammentandogli le glorie passate.
Scrisse ancora, negli ultimi tempi, un opuscolo dedicato alla Vergine Maria per manifestarle tutto il suo amore. Dichiara egli stesso: «Io intendo chiudere la mia lunga vita celebrando le lodi di Dio e della sua gloriosa Madre, preparandomi così a rapire gli anni della vita eterna».
Con la serenità di coloro che hanno adempiuto con amore il compito loro affidato consacrando l’intera esistenza al bene delle anime e alla gloria di Dio, il nostro Beato si spense con dolcezza il 13 luglio 1298 tra il compianto generale dei genovesi.
Per sua espressa volontà fu sepolto nella chiesa di San Domenico anziché in Cattedrale, e lì rimasero le sue reliquie fino al 1798 quando, durante i moti rivoluzionari, lo storico convento ed il sacro tempio furono grandemente danneggiati e in seguito demoliti. I suoi resti furono trasportati nell’altra chiesa domenicana: la basilica di Santa Maria di Castello, dove furono custoditi fino al 1974, anno in cui furono traslati a Varazze nella chiesa di San Domenico, esempio e monito perenne ai suoi amati concittadini.
Il culto a lui tributato ininterrottamente venne riconosciuto da Papa Urbano VIII con la bolla del 5 luglio 1634 e poi approvato canonicamente da Papa Pio VII nel 1816.
Ordine dei Predicatori
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Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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