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indro montanelli
Domenico[1] nacque in Spagna, a Calaruega, città della Castiglia, nel 1170, da nobile famiglia. La madre, la Beata Giovanna, prima di partorirlo, sognò un cane che imboccando un tizzone ardente incendiava il mondo. In questa allegoria qualcuno vide un'allusione ai roghi dell'Inquisizione, accesi dai seguaci del santo.
Fino all'età di sette anni Domenico visse in famiglia. Poi fu mandato a studiare nella vicina città di Osma, ospite di uno zio arciprete. A quindici si trasferì a Palencia, la futura Salamanca, dove frequentò la celebre scuola di grammatica.
Era un giovane di media statura e di pelo rosso, barbuto, magro e delicato. A differenza di Francesco, non ebbe mai dubbi sulla propria vocazione e mai si mescolò a compagnie ribalde e scollacciate. Nacque santo, non lo diventò.
Quando finì gli studi, ottenne una cattedra di teologia che abbandonò, a trentun anni, per diventare canonico del capitolo di Osma e poi sottopriore. Nel 1201 accompagnò il suo Vescovo a Tolosa, ch'era uno dei centri dell'eresia albigese. Dicono che albigese fosse anche l'oste che l'ospitò in una vecchia taverna e che Domenico in poche ore riuscì a convertire all’ortodossia. Fu questo il primo della serie innumerevole di miracoli che gli agiografi gli attribuirono. Domenico restò a lungo a Tolosa, risoluto a combattere e a schiacciare l'eresia adottando le stesse armi dei suoi nemici: la povertà, l'umiltà e la tolleranza.
Indossò una semplice tonaca e a piedi scalzi cominciò a percorrere in lungo e in largo quelle regioni infettate dalla dissidenza, predicando, promuovendo dibattiti, incoraggiando contraddittori. Era un oratore nato e possedeva una voce calda, pacata e suadente. Non assumeva mai il tono della requisitoria o quello dell'invettiva, non minacciava castighi e più che a strappare l'applauso mirava a ottenere il consenso. La collera e le rampogne le riservava ai preti che vivevano nel lusso, agli abati concubini, ai vescovi simoniaci, che avevano sprofondato la Chiesa nella palude della mondanità, screditandone le istituzioni e minandone la compattezza. Allora Domenico dimenticava anche la disciplina e le gerarchie e gridava - lui semplice frate - ai legati papali Arnoldo, Raoul e Pietro di Castelnau: «Non è sfoggiando come voi il potere e la pompa, cavalieri e palafrenieri, vestiti e gioielli, che l'eresia fa proseliti. Li fa col suo zelo, con la sua austerità, con la sua santità». Era un invito a imitare le virtù del nemico e a farne uno strumento di lotta. Il «persecutore degli eretici», come poi fu chiamato Domenico, fu a un passo dal diventarlo egli stesso. E certamente lo sarebbe diventato se la Chiesa fosse rimasta sorda ai suoi gridi d'allarme.
Papa Onorio intuì in Domenico un alleato formidabile, lo volle conoscere e nel dicembre del 1216 lo autorizzò con due bolle a fondare l'Ordine dei Frati Predicatori. Domenico l'organizzò, da buon spagnolo, come una truppa scelta, come un intrepido Commando da lanciare alla disperata in mezzo ai nemici. Reclutava i suoi uomini nelle università perché li voleva istruiti, polemici e pugnaci, com'erano gli avversari. Per lui le armi francescane della povertà e dell'umiltà non andavano disgiunte da quelle della dialettica e della logica, perché l'eresia non colpiva solo la depravazione del clero ma intaccava alle radici la struttura stessa della Chiesa, rimettendone in discussione la gerarchia e i dogmi.
Francesco negava ogni significato e importanza alla cultura come strumento di lotta e di propaganda in un mondo che aborriva e dal quale predicava la fuga. Domenico, al contrario, spingeva i suoi ad affrontarlo, a combatterne le tentazioni e a vincerle. All'ascesi preferiva l'azione e il confronto delle idee.
Domenico operò tutta la vita per ricondurre la Cristianità nell'alveo della ortodossia, e in questa crociata non conobbe soste né tentennamenti. Stremato da una lotta durata oltre vent’anni, morì nell'agosto del 1221 a Bologna, dove i frati predicatori avevano fondato una delle più importanti case dell'Ordine.
Dalla scuola domenicana vennero i grandi missionari, i grandi diplomatici, i grandi dottori della Chiesa. Se essa produsse anche i persecutori, la colpa non fu certamente di Domenico, che fu un uomo giusto, mite e generoso. Finché visse, il suo Ordine non si macchiò di alcun delitto, forse perché egli riuscì con la santità del suo esempio e il prestigio della sua autorità a impedire che lo zelo dei suoi adepti degenerasse in fanatismo. Ma dopo la sua scomparsa ci fu chi, accecato dall'odio per gli eretici, si abbandonò a eccessi che nocquero all'Ordine più di quanto non giovassero alla Fede, dimenticando che il «persecutore degli eretici» una sola volta si era trovato coinvolto in un episodio di persecuzione, ma solo per salvare dalle fiamme un condannato al rogo.
Francesco e Domenico sfidarono l'eresia sul terreno della morale e del costume. Ma solo Domenico intuì che c'era un altro campo su cui ortodossia e dissidenza erano in conflitto: quello intellettuale. Egli non combatté questa battaglia, si limitò ad annunziarla e ad affilare le armi per colui che ne sarebbe diventato il campione: San Tommaso.
[1] cfr. Storia d’Italia, vol. I, cap. XXV, pp. 621-623
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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