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lettera del priore provinciale in occasione dell'apertura del giubileo
mercoledì, 24 marzo 2021 - 02:28
Lettera del Priore provinciale in occasione dell'apertura del Giubileo
Lettera del Priore provinciale in occasione dell'apertura del Giubileo

Lettera di fr. Francesco La Vecchia OP
Priore provinciale dei Frati Predicatori
alla
Famiglia Domenicana
della
Provincia San Tommaso d’Aquino in Italia
in occasione del
Giubileo per l’Ottavo centenario della
Nascita al Cielo di
San Domenico di Guzman
Fondatore dell’Ordine dei Predicatori

Amati fratelli e sorelle nel santo padre Domenico,
la celebrazione della solennità dell’Epifania del Signore, ancora una volta, ci rivela la bellezza dell’amore del Dio fatto uomo nell’essenzialità della nostra umanità. Una umanità chiamata ad essere sempre più bella perché riflesso di Dio stesso. Se nel mistero dell’Epifania a noi discepoli di Cristo viene rivelato un ulteriore elemento del disegno di salvezza, ossia quello di un Dio che non fa preferenze ma che come Padre considera tutti gli uomini come suoi figli, come figli e figlie di san Domenico veniamo invece chiamati a riconsiderare il carisma della predicazione. Un carisma che, oggi più che mai, non può essere risolto o realizzato con una mera professionalità della parola umana e degli strumenti comunicativi che si limiti al nostro cerchio. Il nostro essere predicatori, nella molteplicità delle forme che derivano dalla diversa appartenenza all’Ordine dei Predicatori, ci chiede di aprire gli orizzonti, senza preclusioni e senza preferenze, per mettere in campo la propria umanità quale volano dell’annuncio del Vangelo. Altrimenti detto, senza una testimonianza credibile la nostra predicazione si potrà ridurre semplicemente a un blaterare erudito che lascerà il tempo che trova. O, ancora peggio, se il nostro dire sarà rimpinzato di “taglia e incolla” di cose dette da altri e scimmiottate da noi con interminabili litanie di luoghi comuni verrà presto dimenticato se non addirittura neanche ascoltato.
L’Epifania ci rivela come fare nostra la logica del Padre che punta al cuore delle cose attraverso l’umanità assunta in quel Bambino, segno di profezia e di contraddizione per molti. Ed è in questo contesto che il nostro Ordine ha indetto un anno giubilare per fare ricordo della nascita al cielo del nostro fondatore. Un giubileo che inizia oggi per concludersi il prossimo 6 gennaio 2022. Cuore e centro di questo anno giubilare sarà la commemorazione della morte di san Domenico avvenuta il 6 agosto 1221, giorno in cui l’uomo “tutto di Dio”, accompagnato dagli angeli, salì per quella scala retta da Gesù e sua madre Maria[1] e ricevere così il premio eterno di quella misericordia che Domenico aveva posto come strumento e fine della sua missione di predicatore del Vangelo. Un giubileo per far festa, per far memoria. Spesso questi due termini camminano insieme e si illuminano a vicenda. Una festa è sempre occasione per ricordare qualcuno o qualcosa, un evento come un anniversario. Tutto questo per ricordare e fare memoria di qualcuno che per noi è stato ed è ancora importante. Una memoria che vuole rendere attuale il messaggio e la testimonianza di chi ora non vive più fisicamente in mezzo a noi ma la cui esistenza e le cui opere sono il testamento sempre vivo e attuale che ci permette di proseguire il cammino lungo quella strada che, in questo caso, Domenico ha segnato con noi e per noi.
Un giubileo che già i precedenti Capitoli generali dell’Ordine avevano iniziato a pensare. Un giubileo proposto da fr. Bruno Cadoré con lettera dell’8 agosto 2018 e ora indetto da fr. Gerard Francisco Timoner, maestro dell’Ordine dei Predicatori, con lettera indirizzata a tutta la Famiglia domenicana del 31 gennaio 2020, dal titolo “A tavola con Domenico”[2].
La situazione pandemica, tragica e inaspettata che ha investito l’intera società internazionale, ha obbligato tutti noi a modificare abitudini, ritmi e decisioni prese precedentemente a questi eventi. Il Maestro dell’Ordine nella sua lettera di indizione ci aiutava a guardare la nostra comunità di Bologna, dove riposano le spoglie mortali di san Domenico, quale luogo di pellegrinaggio e quale polo per iniziative commemorative dal respiro fraterno e internazionale. Ma, vista la storia che stiamo vivendo e quanto la prudenza e il rispetto per la salute pubblica ci impongono come cristiani e come cittadini civili, non credo sarà possibile, almeno nella prima metà dell’anno ipotizzare pellegrinaggi, conferenze e meeting che prevedono il concorso e lo spostamento di numeri elevati di persone, anche nello stesso luogo. Molti dei nostri impegni pastorali, la liturgia stessa, incontri di catechesi e formazione saranno condizionati da protocolli ben precisi che, come ben sappiamo, hanno a cuore la salute e la salvaguardia delle persone, nonostante questo stia chiedendo un prezzo altissimo a tutta la macchina sociale, lavorativa, economica e finanziaria. Tutto questo potrebbe farci correre il rischio di vivere un giubileo in silenzio sino a permettere un certo raffreddamento dell’entusiasmo che stavamo provando a mettere per vivere questo momento di storia e di fraternità. Tuttavia, non dobbiamo lasciarci prendere dallo scoraggiamento: il cambiamento quasi sostanziale dei nostri ritmi e delle nostre abitudini potrebbe mettere a repentaglio persino la nostra fede (cosa peggiore del non poter vivere un giubileo!). Allora proviamo a far un attimo di silenzio dentro di noi e forse sentiremo l’antico monito che Domenico soleva dire ai suoi frati: “Fortiter viri fortes!”[3]. Quindi, cari fratelli e sorelle, siamo forti nel vivere questo giubileo fuori dai soliti schemi ma con l’entusiasmo di chi pone la speranza e la fede a fondamento di qualunque azione quotidiana. Un’occasione nuova per ciascuno di noi, per le nostre comunità, le nostre fraternite, i nostri gruppi. Ognuno secondo la sua professione viva, ricerchi, speri, attui questo giubileo provando a vivere i frutti di un incontro personale con Domenico, riscoprendo in lui un compagno di cammino che ci sostiene a fare di Cristo il fondamento della nostra vita e il sostegno della nostra carità.
Quella di un giubileo non è solo la celebrazione della storia personale di un uomo. Certamente potrà essere un’occasione per riscoprire la sua personalità, il suo profilo coinvolgente di leader, di profeta, di animatore. E nel caso di Domenico torneremo a riscoprire il suo essere di innamorato della Parola vivente che fa innamorare a sua volta con la sua testimonianza. Vir evangelicus fu definito! Come a dire che Domenico per la Chiesa intera, e non solo per l’Ordine da lui fondato, è il prototipo di discepolo per il regno dei cieli. Un discepolo che fa suo il modello dell’umanità di Cristo resa bella perché accogliente, riconciliante, inclusiva. Allora sia giubileo! Sia festa! Certamente diversa da come ci saremmo aspettati. D’altronde un momento giubilare con tutti i suoi eventi non è e non può essere l’occasione per vendere un nuovo prodotto o per promuovere un’opera di marketing. Non dobbiamo idolatrare nessuno. Figurarsi se Domenico permettesse una cosa del genere. Lui che, come la spola di un telaio, scorreva le sue giornate tra la trama del parlare con Dio e l’ordito del parlare di Dio!
Alla luce della storia del nostro presente ci ritroviamo come una grande comunità di figli e figlie che vogliono commemorare il loro padre. Certamente non per inutile e anacronistica nostalgia, anche se questa potrebbe far capolino. Ma proprio a motivo della possibile confusione e di quel senso di smarrimento che la società tutta, umana ed ecclesiale, sta vivendo, sentiamo il bisogno di far memoria. Ricordare per capire. Capire per vivere. Vivere per condividere. Ciò che Domenico ha fondato ha trapassato la storia e ha camminato con i tempi per servire il Vangelo. Il carisma della predicazione ha indossato l’abito del tempo non per seguirne le mode ma per ascoltare l’uomo di ogni epoca e dialogare con la sua intelligenza perché si lasci illuminare dalla luce della Grazia del Verbo incarnato che Domenico ha fatto suo come missione e come carisma. Proviamo a rileggere insieme il suo testamento per attualizzarlo nel nostro oggi assetato di umanità autentica.
Questo tempo ci sta impedendo i contatti quanto i pellegrinaggi. Le iniziative hanno spesso avuto un brusco arresto. Ma non si arresti il nostro cuore. Proviamo quindi a fare un viaggio, un pellegrinaggio con il cuore. Invece dei nostri piedi facciamo muovere i nostri desideri, le nostre speranze, le nostre sane curiosità (quelle sane sottolineo, perché le altre corrono già veloci!). Siamo obbligati al poter fare poco. Allora torniamo a vivere di essere. Proviamo a denudarci di tutto quanto possa essere non necessario anche se bello ed importante. Facciamo viaggiare il nostro cuore per raggiungere quelle mete spesso oggetto della nostra predicazione. Proviamo a far sì che le teorie sperate diventino sogno realizzato. Proviamo a far finta di non aver mai sentito parlare di Domenico e, magari, di incontralo casualmente mentre siamo molto presi dal nostro prenderci troppo sul serio. Improvvisamente il nostro andirivieni si imbatterà in un uomo dalla statura bassa e dallo sguardo tanto eloquente quanto vispo. Forse sarà lui per primo a chiedere di noi, chi siamo, che facciamo, che sogni abbiamo. E probabilmente, non riconoscendolo, un po’ come avvenne per i discepoli con Gesù lungo la via di Emmaus, proveremo a parlare di noi, della nostra vocazione di predicatori, di domenicani come la maggior parte della gente ci chiama a motivo del nome del nostro fondatore. Mi piace immaginare il nostro festeggiato con il suo atteggiamento capace di ascolto e ricco di umanità paziente che riannoda i fili del nostro racconto racimolato da quei tanti libri che narrano la bellezza e l’orgoglio delle origini del nostro Ordine. E se il nostro racconto, ad un certo punto, dovesse poi discostarsi un po’ dalla descrizione del protagonista? Se il nostro racconto dovesse assumere i toni del trionfalismo pari ai quei ritratti musoni o a quei mezzibusti marmorei alteri di tanti uomini illustri (magari la cui opera è stata commissionata da loro stessi)?
Immagino allora il sorriso quasi sornione di quel piccolo uomo incontrato sul nostro cammino. Sono certo ci inviterebbe a sederci, a rilassarci, a non avere la solita fretta con cui viviamo spesso la nostra fede e la nostra esistenza. Ci inviterebbe a stare con lui, ci accoglierebbe alla sua tavola per ascoltare il racconto della sua fede entusiasta e della sua ricerca smaniosa di quella Verità che non può che coincidere con l’Amore di Dio stesso. Ci racconterebbe dell’urgenza di mettere mente e cuore in ogni piccolo e quotidiano gesto per cogliere un Dio che cerca l’uomo per rivelargli il suo amore. Di spendere tutto noi stessi nell’accogliere ogni giorno chi ci rivela di continuo la bellezza dell’umanità e della fatica che ha fatto il Figlio di Dio per restituircela sanata e guarita.
Domenico aveva voglia di condividere la sua gioia e al contempo comprendeva che non poteva farcela da solo per portare avanti un progetto per aiutare gli uomini a capire l’amore di Dio che non sempre inizia con il consueto “c’era una volta” per poi terminare con l’atteso “vissero felici e contenti”. L’umanità di Domenico era ben conscia che l’amore passa anche attraverso il dolore e la sofferenza. Un amore che attraversa tutta la nostra umanità per trasfigurarla e ricollocarla nella sua vera missione. Un progetto che aveva bisogno di tante mani. Per questo non è possibile scindere la storia del nostro Ordine da quella personale di Domenico. Così come ogni momento della sua esistenza è stato anticipazione e profezia di quanto avrebbe realizzato per servire il Vangelo nella Chiesa, sempre in comunione. Proprio per questo Domenico aveva chiesto ai suoi frati vita comune e obbedienza. Non un’obbedienza per assoggettare un seguito di persone da rendere meri esecutori di ordini e realizzatori di progetti altrui. Una obbedienza che fosse invece luogo di incontro, ricerca di verità ed esperienza di amore per essere predicatori, realizzando la profezia del Regno di Dio vivendo come fratelli. L’obbedienza della comunione: il segreto per essere uomini e donne impegnati nell’annunzio del Vangelo.
Inoltre, aver posto la preghiera e lo studio quali binari per vivere la missione della predicazione in tutte le sue possibili forme ha come fine comprendere il valore dell’ascolto vicendevole. La preghiera e lo studio non sono strumenti unidirezionali. La preghiera oggi sta vivendo una certa crisi identitaria. La gente che prega è tanta, ma spesso anche sola pur pregando in gruppo o in comunità. Una preghiera fatta di parole e formule magiche non è la preghiera che Gesù ci ha insegnato. Come anche lo studio fine a sé stesso certamente potrà aumentare il bagaglio delle proprie conoscenze ma non allargherà i nostri orizzonti desiderosi di quegli incontri urgenti e necessari con il prossimo che ci viene incontro. Uno studio a servizio della scienza di Dio, ossia la Verità di una umanità che incontra e perdona, una umanità che abbraccia e sa riconciliarsi sempre. Credo che uno dei motivi che il Maestro dell’Ordine adduce nella sua lettera di indizione nell’indicare questa preziosa reliquia che è la tavola detta della Mascarella[4], sia proprio questo: quella tavola profuma di mensa, profuma di fraternità, segni di comunione e di accoglienza. Questa tavola su cui insiste uno dei ritratti più antichi del nostro fondatore diviene oggi particolarmente significativo nel fare memoria del nostro fondatore. Il dipinto ci mostra Domenico con i suoi frati seduti alla mensa, luogo di vita familiare come anche luogo di incontro per la Chiesa tutta convocata a celebrare l’Eucarestia del suo Maestro. Così questa mensa diviene icona di comunione e condivisione. Senza comunione non è possibile predicare un Vangelo dalla testimonianza credibile. Non siamo chiamati ad essere professioni della predicazione o artisti nell’arte della comunicazione. Il nostro, come quello di Domenico, è e deve essere un racconto reale della nostra fede e della nostra vocazione.
La vocazione non ha come fine l’autoconservazione come se fosse una qualcosa da archiviare o custodire. Essere chiamati, vocati, ha un fine ben preciso: far crescere dentro di noi quanto il Signore ci ha affidato per fare di noi degli innamorati responsabili che testimoniano l’amore e per insegnare agli altri ad amare. Predicatori non perché migliori di altri, ma perché innamorati. Un amore che supera le nostre stesse fragilità, che le sana e che, mettendole assieme a quelle dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, diventano la forza di una Chiesa che non si vergogna di ammettere i suoi limiti e i suoi molti peccati, ma che sa che solo nella comunione può trovare quella luce che può contrastare le tenebre della disumanità cocciuta ed egoista. Questo Domenico l’ha compreso. E, per questo, l’ha vissuto e testimoniato. Non da solo. Con la comunità. In comunione.
A tutt’oggi è veramente difficile ipotizzare eventi e iniziative “in presenza” che possano coinvolgere tutta la nostra Provincia. Tuttavia, grazie ai social, possiamo condividere le iniziative inerenti questo giubileo che le rispettive comunità vorranno mettere in campo: pubblicazioni in formato pdf, videoconferenze, catechesi, riflessioni personali e comunitarie potranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: web.provinciasantommaso@gmail.com. Inoltre, anche attraverso piattaforme virtuali, sarà possibile partecipare a momenti formativi che potremo pensare ed organizzare.
Ma soprattutto sarà nostro personale impegno incontrarci con Domenico nella preghiera, nello studio personale per vivere quella fraternità che fa di noi una famiglia che si incontra, si ama e si perdona sempre.
Questo giubileo sia per noi tutti una nuova occasione di fare nuovo il nostro modo di guardare un presente che ci chiede rimanere fedeli nel cuore e nella mente rivolti a colui che è Via, Verità e Vita e, al contempo, trovare forza ed entusiasmo per percorrere nuove vie di annuncio dell’unico Vangelo di salvezza. La Vergine Madre, rivelatrice del Rivelatore, sia colei che continuamente ci indica il Salvatore. Domenico con la sua stella continui a indicarci la via della salvezza. Ci soccorra. Ci incoraggi. Ci sostenga, dicendoci ancora: “Fortiter, viri et dominae fortes!”
Buon giubileo. Buon cammino. Insieme!
la celebrazione della solennità dell’Epifania del Signore, ancora una volta, ci rivela la bellezza dell’amore del Dio fatto uomo nell’essenzialità della nostra umanità. Una umanità chiamata ad essere sempre più bella perché riflesso di Dio stesso. Se nel mistero dell’Epifania a noi discepoli di Cristo viene rivelato un ulteriore elemento del disegno di salvezza, ossia quello di un Dio che non fa preferenze ma che come Padre considera tutti gli uomini come suoi figli, come figli e figlie di san Domenico veniamo invece chiamati a riconsiderare il carisma della predicazione. Un carisma che, oggi più che mai, non può essere risolto o realizzato con una mera professionalità della parola umana e degli strumenti comunicativi che si limiti al nostro cerchio. Il nostro essere predicatori, nella molteplicità delle forme che derivano dalla diversa appartenenza all’Ordine dei Predicatori, ci chiede di aprire gli orizzonti, senza preclusioni e senza preferenze, per mettere in campo la propria umanità quale volano dell’annuncio del Vangelo. Altrimenti detto, senza una testimonianza credibile la nostra predicazione si potrà ridurre semplicemente a un blaterare erudito che lascerà il tempo che trova. O, ancora peggio, se il nostro dire sarà rimpinzato di “taglia e incolla” di cose dette da altri e scimmiottate da noi con interminabili litanie di luoghi comuni verrà presto dimenticato se non addirittura neanche ascoltato.
L’Epifania ci rivela come fare nostra la logica del Padre che punta al cuore delle cose attraverso l’umanità assunta in quel Bambino, segno di profezia e di contraddizione per molti. Ed è in questo contesto che il nostro Ordine ha indetto un anno giubilare per fare ricordo della nascita al cielo del nostro fondatore. Un giubileo che inizia oggi per concludersi il prossimo 6 gennaio 2022. Cuore e centro di questo anno giubilare sarà la commemorazione della morte di san Domenico avvenuta il 6 agosto 1221, giorno in cui l’uomo “tutto di Dio”, accompagnato dagli angeli, salì per quella scala retta da Gesù e sua madre Maria[1] e ricevere così il premio eterno di quella misericordia che Domenico aveva posto come strumento e fine della sua missione di predicatore del Vangelo. Un giubileo per far festa, per far memoria. Spesso questi due termini camminano insieme e si illuminano a vicenda. Una festa è sempre occasione per ricordare qualcuno o qualcosa, un evento come un anniversario. Tutto questo per ricordare e fare memoria di qualcuno che per noi è stato ed è ancora importante. Una memoria che vuole rendere attuale il messaggio e la testimonianza di chi ora non vive più fisicamente in mezzo a noi ma la cui esistenza e le cui opere sono il testamento sempre vivo e attuale che ci permette di proseguire il cammino lungo quella strada che, in questo caso, Domenico ha segnato con noi e per noi.
Un giubileo che già i precedenti Capitoli generali dell’Ordine avevano iniziato a pensare. Un giubileo proposto da fr. Bruno Cadoré con lettera dell’8 agosto 2018 e ora indetto da fr. Gerard Francisco Timoner, maestro dell’Ordine dei Predicatori, con lettera indirizzata a tutta la Famiglia domenicana del 31 gennaio 2020, dal titolo “A tavola con Domenico”[2].
La situazione pandemica, tragica e inaspettata che ha investito l’intera società internazionale, ha obbligato tutti noi a modificare abitudini, ritmi e decisioni prese precedentemente a questi eventi. Il Maestro dell’Ordine nella sua lettera di indizione ci aiutava a guardare la nostra comunità di Bologna, dove riposano le spoglie mortali di san Domenico, quale luogo di pellegrinaggio e quale polo per iniziative commemorative dal respiro fraterno e internazionale. Ma, vista la storia che stiamo vivendo e quanto la prudenza e il rispetto per la salute pubblica ci impongono come cristiani e come cittadini civili, non credo sarà possibile, almeno nella prima metà dell’anno ipotizzare pellegrinaggi, conferenze e meeting che prevedono il concorso e lo spostamento di numeri elevati di persone, anche nello stesso luogo. Molti dei nostri impegni pastorali, la liturgia stessa, incontri di catechesi e formazione saranno condizionati da protocolli ben precisi che, come ben sappiamo, hanno a cuore la salute e la salvaguardia delle persone, nonostante questo stia chiedendo un prezzo altissimo a tutta la macchina sociale, lavorativa, economica e finanziaria. Tutto questo potrebbe farci correre il rischio di vivere un giubileo in silenzio sino a permettere un certo raffreddamento dell’entusiasmo che stavamo provando a mettere per vivere questo momento di storia e di fraternità. Tuttavia, non dobbiamo lasciarci prendere dallo scoraggiamento: il cambiamento quasi sostanziale dei nostri ritmi e delle nostre abitudini potrebbe mettere a repentaglio persino la nostra fede (cosa peggiore del non poter vivere un giubileo!). Allora proviamo a far un attimo di silenzio dentro di noi e forse sentiremo l’antico monito che Domenico soleva dire ai suoi frati: “Fortiter viri fortes!”[3]. Quindi, cari fratelli e sorelle, siamo forti nel vivere questo giubileo fuori dai soliti schemi ma con l’entusiasmo di chi pone la speranza e la fede a fondamento di qualunque azione quotidiana. Un’occasione nuova per ciascuno di noi, per le nostre comunità, le nostre fraternite, i nostri gruppi. Ognuno secondo la sua professione viva, ricerchi, speri, attui questo giubileo provando a vivere i frutti di un incontro personale con Domenico, riscoprendo in lui un compagno di cammino che ci sostiene a fare di Cristo il fondamento della nostra vita e il sostegno della nostra carità.
Quella di un giubileo non è solo la celebrazione della storia personale di un uomo. Certamente potrà essere un’occasione per riscoprire la sua personalità, il suo profilo coinvolgente di leader, di profeta, di animatore. E nel caso di Domenico torneremo a riscoprire il suo essere di innamorato della Parola vivente che fa innamorare a sua volta con la sua testimonianza. Vir evangelicus fu definito! Come a dire che Domenico per la Chiesa intera, e non solo per l’Ordine da lui fondato, è il prototipo di discepolo per il regno dei cieli. Un discepolo che fa suo il modello dell’umanità di Cristo resa bella perché accogliente, riconciliante, inclusiva. Allora sia giubileo! Sia festa! Certamente diversa da come ci saremmo aspettati. D’altronde un momento giubilare con tutti i suoi eventi non è e non può essere l’occasione per vendere un nuovo prodotto o per promuovere un’opera di marketing. Non dobbiamo idolatrare nessuno. Figurarsi se Domenico permettesse una cosa del genere. Lui che, come la spola di un telaio, scorreva le sue giornate tra la trama del parlare con Dio e l’ordito del parlare di Dio!
Alla luce della storia del nostro presente ci ritroviamo come una grande comunità di figli e figlie che vogliono commemorare il loro padre. Certamente non per inutile e anacronistica nostalgia, anche se questa potrebbe far capolino. Ma proprio a motivo della possibile confusione e di quel senso di smarrimento che la società tutta, umana ed ecclesiale, sta vivendo, sentiamo il bisogno di far memoria. Ricordare per capire. Capire per vivere. Vivere per condividere. Ciò che Domenico ha fondato ha trapassato la storia e ha camminato con i tempi per servire il Vangelo. Il carisma della predicazione ha indossato l’abito del tempo non per seguirne le mode ma per ascoltare l’uomo di ogni epoca e dialogare con la sua intelligenza perché si lasci illuminare dalla luce della Grazia del Verbo incarnato che Domenico ha fatto suo come missione e come carisma. Proviamo a rileggere insieme il suo testamento per attualizzarlo nel nostro oggi assetato di umanità autentica.
Questo tempo ci sta impedendo i contatti quanto i pellegrinaggi. Le iniziative hanno spesso avuto un brusco arresto. Ma non si arresti il nostro cuore. Proviamo quindi a fare un viaggio, un pellegrinaggio con il cuore. Invece dei nostri piedi facciamo muovere i nostri desideri, le nostre speranze, le nostre sane curiosità (quelle sane sottolineo, perché le altre corrono già veloci!). Siamo obbligati al poter fare poco. Allora torniamo a vivere di essere. Proviamo a denudarci di tutto quanto possa essere non necessario anche se bello ed importante. Facciamo viaggiare il nostro cuore per raggiungere quelle mete spesso oggetto della nostra predicazione. Proviamo a far sì che le teorie sperate diventino sogno realizzato. Proviamo a far finta di non aver mai sentito parlare di Domenico e, magari, di incontralo casualmente mentre siamo molto presi dal nostro prenderci troppo sul serio. Improvvisamente il nostro andirivieni si imbatterà in un uomo dalla statura bassa e dallo sguardo tanto eloquente quanto vispo. Forse sarà lui per primo a chiedere di noi, chi siamo, che facciamo, che sogni abbiamo. E probabilmente, non riconoscendolo, un po’ come avvenne per i discepoli con Gesù lungo la via di Emmaus, proveremo a parlare di noi, della nostra vocazione di predicatori, di domenicani come la maggior parte della gente ci chiama a motivo del nome del nostro fondatore. Mi piace immaginare il nostro festeggiato con il suo atteggiamento capace di ascolto e ricco di umanità paziente che riannoda i fili del nostro racconto racimolato da quei tanti libri che narrano la bellezza e l’orgoglio delle origini del nostro Ordine. E se il nostro racconto, ad un certo punto, dovesse poi discostarsi un po’ dalla descrizione del protagonista? Se il nostro racconto dovesse assumere i toni del trionfalismo pari ai quei ritratti musoni o a quei mezzibusti marmorei alteri di tanti uomini illustri (magari la cui opera è stata commissionata da loro stessi)?
Immagino allora il sorriso quasi sornione di quel piccolo uomo incontrato sul nostro cammino. Sono certo ci inviterebbe a sederci, a rilassarci, a non avere la solita fretta con cui viviamo spesso la nostra fede e la nostra esistenza. Ci inviterebbe a stare con lui, ci accoglierebbe alla sua tavola per ascoltare il racconto della sua fede entusiasta e della sua ricerca smaniosa di quella Verità che non può che coincidere con l’Amore di Dio stesso. Ci racconterebbe dell’urgenza di mettere mente e cuore in ogni piccolo e quotidiano gesto per cogliere un Dio che cerca l’uomo per rivelargli il suo amore. Di spendere tutto noi stessi nell’accogliere ogni giorno chi ci rivela di continuo la bellezza dell’umanità e della fatica che ha fatto il Figlio di Dio per restituircela sanata e guarita.
Domenico aveva voglia di condividere la sua gioia e al contempo comprendeva che non poteva farcela da solo per portare avanti un progetto per aiutare gli uomini a capire l’amore di Dio che non sempre inizia con il consueto “c’era una volta” per poi terminare con l’atteso “vissero felici e contenti”. L’umanità di Domenico era ben conscia che l’amore passa anche attraverso il dolore e la sofferenza. Un amore che attraversa tutta la nostra umanità per trasfigurarla e ricollocarla nella sua vera missione. Un progetto che aveva bisogno di tante mani. Per questo non è possibile scindere la storia del nostro Ordine da quella personale di Domenico. Così come ogni momento della sua esistenza è stato anticipazione e profezia di quanto avrebbe realizzato per servire il Vangelo nella Chiesa, sempre in comunione. Proprio per questo Domenico aveva chiesto ai suoi frati vita comune e obbedienza. Non un’obbedienza per assoggettare un seguito di persone da rendere meri esecutori di ordini e realizzatori di progetti altrui. Una obbedienza che fosse invece luogo di incontro, ricerca di verità ed esperienza di amore per essere predicatori, realizzando la profezia del Regno di Dio vivendo come fratelli. L’obbedienza della comunione: il segreto per essere uomini e donne impegnati nell’annunzio del Vangelo.
Inoltre, aver posto la preghiera e lo studio quali binari per vivere la missione della predicazione in tutte le sue possibili forme ha come fine comprendere il valore dell’ascolto vicendevole. La preghiera e lo studio non sono strumenti unidirezionali. La preghiera oggi sta vivendo una certa crisi identitaria. La gente che prega è tanta, ma spesso anche sola pur pregando in gruppo o in comunità. Una preghiera fatta di parole e formule magiche non è la preghiera che Gesù ci ha insegnato. Come anche lo studio fine a sé stesso certamente potrà aumentare il bagaglio delle proprie conoscenze ma non allargherà i nostri orizzonti desiderosi di quegli incontri urgenti e necessari con il prossimo che ci viene incontro. Uno studio a servizio della scienza di Dio, ossia la Verità di una umanità che incontra e perdona, una umanità che abbraccia e sa riconciliarsi sempre. Credo che uno dei motivi che il Maestro dell’Ordine adduce nella sua lettera di indizione nell’indicare questa preziosa reliquia che è la tavola detta della Mascarella[4], sia proprio questo: quella tavola profuma di mensa, profuma di fraternità, segni di comunione e di accoglienza. Questa tavola su cui insiste uno dei ritratti più antichi del nostro fondatore diviene oggi particolarmente significativo nel fare memoria del nostro fondatore. Il dipinto ci mostra Domenico con i suoi frati seduti alla mensa, luogo di vita familiare come anche luogo di incontro per la Chiesa tutta convocata a celebrare l’Eucarestia del suo Maestro. Così questa mensa diviene icona di comunione e condivisione. Senza comunione non è possibile predicare un Vangelo dalla testimonianza credibile. Non siamo chiamati ad essere professioni della predicazione o artisti nell’arte della comunicazione. Il nostro, come quello di Domenico, è e deve essere un racconto reale della nostra fede e della nostra vocazione.
La vocazione non ha come fine l’autoconservazione come se fosse una qualcosa da archiviare o custodire. Essere chiamati, vocati, ha un fine ben preciso: far crescere dentro di noi quanto il Signore ci ha affidato per fare di noi degli innamorati responsabili che testimoniano l’amore e per insegnare agli altri ad amare. Predicatori non perché migliori di altri, ma perché innamorati. Un amore che supera le nostre stesse fragilità, che le sana e che, mettendole assieme a quelle dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, diventano la forza di una Chiesa che non si vergogna di ammettere i suoi limiti e i suoi molti peccati, ma che sa che solo nella comunione può trovare quella luce che può contrastare le tenebre della disumanità cocciuta ed egoista. Questo Domenico l’ha compreso. E, per questo, l’ha vissuto e testimoniato. Non da solo. Con la comunità. In comunione.
A tutt’oggi è veramente difficile ipotizzare eventi e iniziative “in presenza” che possano coinvolgere tutta la nostra Provincia. Tuttavia, grazie ai social, possiamo condividere le iniziative inerenti questo giubileo che le rispettive comunità vorranno mettere in campo: pubblicazioni in formato pdf, videoconferenze, catechesi, riflessioni personali e comunitarie potranno essere inviate al seguente indirizzo di posta elettronica: web.provinciasantommaso@gmail.com. Inoltre, anche attraverso piattaforme virtuali, sarà possibile partecipare a momenti formativi che potremo pensare ed organizzare.
Ma soprattutto sarà nostro personale impegno incontrarci con Domenico nella preghiera, nello studio personale per vivere quella fraternità che fa di noi una famiglia che si incontra, si ama e si perdona sempre.
Questo giubileo sia per noi tutti una nuova occasione di fare nuovo il nostro modo di guardare un presente che ci chiede rimanere fedeli nel cuore e nella mente rivolti a colui che è Via, Verità e Vita e, al contempo, trovare forza ed entusiasmo per percorrere nuove vie di annuncio dell’unico Vangelo di salvezza. La Vergine Madre, rivelatrice del Rivelatore, sia colei che continuamente ci indica il Salvatore. Domenico con la sua stella continui a indicarci la via della salvezza. Ci soccorra. Ci incoraggi. Ci sostenga, dicendoci ancora: “Fortiter, viri et dominae fortes!”
Buon giubileo. Buon cammino. Insieme!
Dalla Domus provincialis,
Convento Maria SS. dell’Arco
Sant’Anastasia (NA), 6 gennaio 2021
Solennità dell’Epifania di N.S.G.C.
[1] Cfr. Giordano di Sassonia, Libellus de Principiis Ordinis Praedicatorum: “Fra’ Guala, priore di Brescia, che poi sarà anche vescovo di quella città, messosi a sedere nel campanile dei frati di Brescia, vi si era appisolato. Ad un tratto vide una apertura nel cielo, attraverso la quale scendevano due candide scale. La sommità dell'una era tenuta da Cristo, l'altra da sua Madre; l'una e l'altra gli angeli percorrevano salendo e discendendo. In fondo alle due scale, nel mezzo, era posta una sedia e sulla sedia c'era uno seduto che sembrava un frate dell'ordine, con la faccia coperta dal cappuccio, come è costume di seppellire i nostri morti. Cristo Signore e sua madre tiravano su poco a poco le scale fino a che colui che era in basso non giunse in cima. Allora fu ricevuto in cielo in un nimbo di luce al canto degli angeli; e quella splendente apertura nel cielo fu chiusa. Non apparve più altro. Quel frate che aveva avuto questa visione, che era molto debole e ammalato, si accorse di avere recuperate d'improvviso le forze, e in tutta fretta si mise in viaggio per Bologna, dove sentì dire che in quello stesso giorno ed alla stessa ora era morto il servo di Cristo Domenico. Questo fatto lo conosco perché me lo ha narrato lui in persona".
[2] Per consultazione di materiale e iniziative si può visitare il sito della Provincia nella sezione dedicata al Giubileo Dies Natalis S. P. Dominici: www.domenicani.net.
[3] Cfr. Gerard de Frachet, Vitae Fratrum.
[4] La “Tavola della Mascarella” si chiama così perché è sempre stata custodita nella Chiesa bolognese di Santa Maria della Mascarella, che fu il primo luogo dove abitò per alcuni mesi san Domenico e i suoi compagni, giunti a Bologna nell’inverno del 1218. La tavola venne dipinta a tempera su una tavola di cm 43 × 572, poco dopo la canonizzazione di Domenico (luglio 1234) e, secondo le nostre attuali conoscenze, essa è la raffigurazione più antica del Santo e dei suoi frati. Venne dipinta da un Maestro dell’Italia del Nord intorno agli anni 1235-1240. Essa raffigura al centro, san Domenico con l’aureola, affiancato da una successione di nicchie con coppie di frati predicatori (24: 12 + 12), tutti seduti alla mensa ricolma di pani. I frati, nella raffigurazione dei volti che ne fa l’anonimo pittore, sembrano provenire da varie parti d’Europa: forse il pittore li avrà visti in occasione di un capitolo Generale (allora i Capitoli Generali dell’Ordine si tenevano alternativamente a Bologna e a Parigi).

Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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