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messaggio di natale 2020
del priore provinciale
martedì, 22 dicembre 2020 - 21:23
Messaggio di Natale 2020
del Priore provinciale
Messaggio di Natale 2020
del Priore provinciale

Frati dell’Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d’Aquino in Italia


Messaggio di fr. Francesco La Vecchia OP
Priore provinciale dei Frati Predicatori della
Provincia San Tommaso d’Aquino in Italia
in occasione della
Priore provinciale dei Frati Predicatori della
Provincia San Tommaso d’Aquino in Italia
in occasione della
SOLENNITA' DEL SANTO NATALE
2020
tu che annunci liete notizie a Sion!
Alza la tua voce con forza,
tu che annunci liete notizie a Gerusalemme.
Alza la voce, non temere;
annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio!
Ecco, il Signore Dio viene con potenza,
il suo braccio esercita il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio
e la sua ricompensa lo precede.
Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna;
porta gli agnellini sul petto
e conduce dolcemente le pecore madri.
(Is 40,9-11)
Carissimi,
ogniqualvolta torniamo a vivere un tempo liturgico o ci immergiamo nella rilettura delle pagine sacre che accompagnano il susseguirsi dei nostri giorni ci capita di cogliere sfumature nuove che rendono altrettanto nuova la nostra comprensione.
Anche questo tempo liturgico dell’Avvento, che stiamo ormai per lasciare alle nostre spalle, ci avrà dato probabilmente la medesima sensazione, quella di percepire in modo nuovo il racconto della salvezza operata da Dio attraverso il suo Figlio Gesù. Una percezione che si è per giunta caricata della vicenda che in modo planetario ha coinvolto e continua a coinvolgerci tutti a motivo della pandemia. Evento doloroso e disarmante, surreale e tragico al contempo, tanto da aumentare quel senso di smarrimento che, a vario motivo, appartenne anche al popolo antico. L’esperienza che farà Israele con l’esilio e le annesse conseguenze diventano l’icona e il prototipo di tutti gli smarrimenti e di tutti i turbamenti che la storia umana ha sinora conosciuto. Cammini deviati o addirittura interrotti; certezze svanite e punti di riferimento scomparsi. Quanto provo a dire non vuole essere la lista della spesa del pessimista! Vorrei solo che rincuorati dalla fede nel Signore provassimo insieme a leggere la storia che stiamo vivendo lasciandola illuminare dalla stella di Betlemme.
Se abbiamo sentito forte il senso di attesa e il bisogno di risposte insiti nell’Avvento, proviamo a fare nostro anche l’annuncio del Natale. Un annuncio che certamente non si pone come uno slogan o una semplice e quasi inutile pacca sulle spalle. Come anche questa buona notizia non è semplicemente una parola di conforto in attesa che succeda qualcosa che metta a posto le ansie dell’uomo. Si tratta di una parola, non di un suono sordo e lontano. È una parola che alza la voce. Una voce che cerca di farsi sentire nel caotico silenzio dello scoraggiamento. Una voce che vuole attirare l’attenzione di tanti di noi distratti o attirati dalle ammalianti seduzioni provvisorie del momento. Una voce che vuole raccontarci una storia tanto antica e sempre nuova, fatta di tenerezza e urgente necessità. Una voce che annuncia un lieto messaggio che a noi si rivela essere come una carezza sul nostro cuore ferito. Un cuore rattristato dalle tante vicende che mettono in discussione l’umanità stessa di ognuno di noi ogniqualvolta l’arroganza e la violenza prendono il sopravvento trasformando le nostre relazioni in scontri e lotte così cariche di egoismo da farci dimenticare che stiamo tutti nella stessa barca!
Abbiamo incontrato durante il cammino di Avvento e, precisamente nella Seconda domenica, una parola del Profeta Isaia (40,9-11). Una parola che mi ha suscitato un senso di consolazione e di tenerezza profondi. Una parola che ci invita a non temere. Sì, perché le paure e il senso di smarrimento sembrano prendere spesso il sopravvento. Anche noi consacrati e ministri del Signore siamo tentati di non cogliere questa parola di conforto, di chiudere gli orecchi a questo invito alla fiducia nel Signore. Ma se saremo noi per primi a chiuderci davanti a questo invito alla fiducia in Dio, come faremo ad aiutare gli altri ad accogliere questo annuncio? Questa parola consolatrice tenta di asciugare le nostre lacrime. Pianto dal triste sapore del fallimento, lacrime che ci fanno sentirci impotenti nel dare una parola buona e compiere un gesto solidale e attento all’altro. Quella che passa attraverso la bocca del profeta è una parola che parla di potenza, di dominio e di un premio per ricompensa. Parole e termini che potrebbero suonare in modo apparentemente trionfalistico e dal tono da riscatto autoreferenziale. Ma sappiamo che non è così. Il Verbo che si fa uomo nel bambino di Betlemme è il modo con cui Dio entra in punta di piedi nella storia dell’uomo per camminargli accanto. Come il sorriso fatto a chi è arrabbiato o deluso. Il sorriso di chi conosce la Verità dell’uomo e non lo abbandona. La potenza del suo amore, il dominio del suo cuore e il premio della vita donata in abbondanza sono il cuore di questo lieto annuncio. Si tratta del fare di Dio, del suo operare, del suo essere per sempre l’Emmanuele, il Dio con noi.
Una parola di speranza che vestirà l’abito del pastore. Una figura a noi cara per tanti motivi. L’immagine del pastore ci richiama lo stesso Gesù che si propone a noi come il pastore bello. Un pastore che si fa carico di tutto il gregge, soprattutto della pecora smarrita. Ed è proprio ai pastori che, nella notte santa in cui vegliavano il gregge durante la transumanza, viene annunciato il vero significato della gioia: nasceva per tutti noi il Salvatore che veniva posto in una mangiatoia, in un presepe, termine a noi caro e familiare. Le stesse statuine dei presepi che adornano le nostre case e le nostre comunità li chiamiamo comunemente “pastori”. Un termine ed una immagine ormai entrati appieno nel comune sentire della nostra stessa fede di discepoli del Vangelo. Quello che mi colpisce del pastore è il suo modo di agire. Sappiamo bene che non è sufficiente dare nomi alle cose per risolvere a stretto giro le difficoltà. La vita umana e di conseguenza la fede non sono questione di regole da ottemperare o di moduli da compilare. Non si tratta semplicemente del fare. Oggi più che mai ci giochiamo tutto sul come fare! Isaia ci aiuta a capire come il pastore si prenda cura di ognuno di noi. Gesù non solo si è fatto carne e, quindi, vero Dio e vero uomo ma ha vissuto l’esperienza dell’umanità assunta ed incarnata giorno dopo giorno, crescendo in età, sapienza e grazia (cfr. Lc 2,51-51), vivendo il suo come in ogni parola ed azione. Ogni uomo e donna incontrati hanno avuto modo di fare esperienza di come Gesù si sia posto con loro. Il pastore innanzitutto si preoccupa di far pascolare il suo gregge, per nutrirlo. Il pastore fa di tutto per radunare nella sua Chiesa chi ascolta e riconosce la sua voce (cfr. Gv 10,27) con il come dell’accoglienza, il come del perdono, il come dell’amore. Il suo come non è una teoria dettata ma un fatto vissuto, un evento concreto: il pastore prende su di sé ciascuno di noi facendosi cireneo dal sorriso disarmante per ricondurci a quel pascolo che solo lui può donarci: il centuplo quaggiù e la vita eterna (cfr. Mt 19,29).
Incamminiamoci anche noi verso il presepe della luce. Proseguiamo il nostro cammino personale e comunitario come chi è chiamato a lasciarsi prendere sulle spalle del Pastore nato per noi. Un annuncio che si fa missione. Una missione che si tramuta in gioia affinché anche noi possiamo condurre i nostri fratelli a verificare che il Figlio di Dio è stato posto nel presepe dell’umanità per salvarla e consolarla. Così anche noi, insieme, ce ne torneremo glorificando e lodando Dio per quanto abbiamo udito e visto (cfr. Lc 2,20). L’udire quest’annuncio di speranza e il vedere l’umanità in ogni nostro fratello sia l’augurio fraterno che formulo di cuore a tutti voi per un Natale luminoso e ricco di amore. Un amore che raduna. Una speranza che conduce. Una fede che ci consola.
Buon Natale!
Anche questo tempo liturgico dell’Avvento, che stiamo ormai per lasciare alle nostre spalle, ci avrà dato probabilmente la medesima sensazione, quella di percepire in modo nuovo il racconto della salvezza operata da Dio attraverso il suo Figlio Gesù. Una percezione che si è per giunta caricata della vicenda che in modo planetario ha coinvolto e continua a coinvolgerci tutti a motivo della pandemia. Evento doloroso e disarmante, surreale e tragico al contempo, tanto da aumentare quel senso di smarrimento che, a vario motivo, appartenne anche al popolo antico. L’esperienza che farà Israele con l’esilio e le annesse conseguenze diventano l’icona e il prototipo di tutti gli smarrimenti e di tutti i turbamenti che la storia umana ha sinora conosciuto. Cammini deviati o addirittura interrotti; certezze svanite e punti di riferimento scomparsi. Quanto provo a dire non vuole essere la lista della spesa del pessimista! Vorrei solo che rincuorati dalla fede nel Signore provassimo insieme a leggere la storia che stiamo vivendo lasciandola illuminare dalla stella di Betlemme.
Se abbiamo sentito forte il senso di attesa e il bisogno di risposte insiti nell’Avvento, proviamo a fare nostro anche l’annuncio del Natale. Un annuncio che certamente non si pone come uno slogan o una semplice e quasi inutile pacca sulle spalle. Come anche questa buona notizia non è semplicemente una parola di conforto in attesa che succeda qualcosa che metta a posto le ansie dell’uomo. Si tratta di una parola, non di un suono sordo e lontano. È una parola che alza la voce. Una voce che cerca di farsi sentire nel caotico silenzio dello scoraggiamento. Una voce che vuole attirare l’attenzione di tanti di noi distratti o attirati dalle ammalianti seduzioni provvisorie del momento. Una voce che vuole raccontarci una storia tanto antica e sempre nuova, fatta di tenerezza e urgente necessità. Una voce che annuncia un lieto messaggio che a noi si rivela essere come una carezza sul nostro cuore ferito. Un cuore rattristato dalle tante vicende che mettono in discussione l’umanità stessa di ognuno di noi ogniqualvolta l’arroganza e la violenza prendono il sopravvento trasformando le nostre relazioni in scontri e lotte così cariche di egoismo da farci dimenticare che stiamo tutti nella stessa barca!
Abbiamo incontrato durante il cammino di Avvento e, precisamente nella Seconda domenica, una parola del Profeta Isaia (40,9-11). Una parola che mi ha suscitato un senso di consolazione e di tenerezza profondi. Una parola che ci invita a non temere. Sì, perché le paure e il senso di smarrimento sembrano prendere spesso il sopravvento. Anche noi consacrati e ministri del Signore siamo tentati di non cogliere questa parola di conforto, di chiudere gli orecchi a questo invito alla fiducia nel Signore. Ma se saremo noi per primi a chiuderci davanti a questo invito alla fiducia in Dio, come faremo ad aiutare gli altri ad accogliere questo annuncio? Questa parola consolatrice tenta di asciugare le nostre lacrime. Pianto dal triste sapore del fallimento, lacrime che ci fanno sentirci impotenti nel dare una parola buona e compiere un gesto solidale e attento all’altro. Quella che passa attraverso la bocca del profeta è una parola che parla di potenza, di dominio e di un premio per ricompensa. Parole e termini che potrebbero suonare in modo apparentemente trionfalistico e dal tono da riscatto autoreferenziale. Ma sappiamo che non è così. Il Verbo che si fa uomo nel bambino di Betlemme è il modo con cui Dio entra in punta di piedi nella storia dell’uomo per camminargli accanto. Come il sorriso fatto a chi è arrabbiato o deluso. Il sorriso di chi conosce la Verità dell’uomo e non lo abbandona. La potenza del suo amore, il dominio del suo cuore e il premio della vita donata in abbondanza sono il cuore di questo lieto annuncio. Si tratta del fare di Dio, del suo operare, del suo essere per sempre l’Emmanuele, il Dio con noi.
Una parola di speranza che vestirà l’abito del pastore. Una figura a noi cara per tanti motivi. L’immagine del pastore ci richiama lo stesso Gesù che si propone a noi come il pastore bello. Un pastore che si fa carico di tutto il gregge, soprattutto della pecora smarrita. Ed è proprio ai pastori che, nella notte santa in cui vegliavano il gregge durante la transumanza, viene annunciato il vero significato della gioia: nasceva per tutti noi il Salvatore che veniva posto in una mangiatoia, in un presepe, termine a noi caro e familiare. Le stesse statuine dei presepi che adornano le nostre case e le nostre comunità li chiamiamo comunemente “pastori”. Un termine ed una immagine ormai entrati appieno nel comune sentire della nostra stessa fede di discepoli del Vangelo. Quello che mi colpisce del pastore è il suo modo di agire. Sappiamo bene che non è sufficiente dare nomi alle cose per risolvere a stretto giro le difficoltà. La vita umana e di conseguenza la fede non sono questione di regole da ottemperare o di moduli da compilare. Non si tratta semplicemente del fare. Oggi più che mai ci giochiamo tutto sul come fare! Isaia ci aiuta a capire come il pastore si prenda cura di ognuno di noi. Gesù non solo si è fatto carne e, quindi, vero Dio e vero uomo ma ha vissuto l’esperienza dell’umanità assunta ed incarnata giorno dopo giorno, crescendo in età, sapienza e grazia (cfr. Lc 2,51-51), vivendo il suo come in ogni parola ed azione. Ogni uomo e donna incontrati hanno avuto modo di fare esperienza di come Gesù si sia posto con loro. Il pastore innanzitutto si preoccupa di far pascolare il suo gregge, per nutrirlo. Il pastore fa di tutto per radunare nella sua Chiesa chi ascolta e riconosce la sua voce (cfr. Gv 10,27) con il come dell’accoglienza, il come del perdono, il come dell’amore. Il suo come non è una teoria dettata ma un fatto vissuto, un evento concreto: il pastore prende su di sé ciascuno di noi facendosi cireneo dal sorriso disarmante per ricondurci a quel pascolo che solo lui può donarci: il centuplo quaggiù e la vita eterna (cfr. Mt 19,29).
Incamminiamoci anche noi verso il presepe della luce. Proseguiamo il nostro cammino personale e comunitario come chi è chiamato a lasciarsi prendere sulle spalle del Pastore nato per noi. Un annuncio che si fa missione. Una missione che si tramuta in gioia affinché anche noi possiamo condurre i nostri fratelli a verificare che il Figlio di Dio è stato posto nel presepe dell’umanità per salvarla e consolarla. Così anche noi, insieme, ce ne torneremo glorificando e lodando Dio per quanto abbiamo udito e visto (cfr. Lc 2,20). L’udire quest’annuncio di speranza e il vedere l’umanità in ogni nostro fratello sia l’augurio fraterno che formulo di cuore a tutti voi per un Natale luminoso e ricco di amore. Un amore che raduna. Una speranza che conduce. Una fede che ci consola.
Buon Natale!
Convento Maria SS. dell’Arco,
S. Anastasia (NA), 22 dicembre 2020
804° Anniversario dell’Approvazione dell’Ordine
Prot. n. 185/2020/P

Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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